È una delle voci più belle emerse nell’ultima decade dalla scena del jazz vocale. Per definirla sono stati scomodati paragoni ingombranti come Ella Fitzgerald e Sarah Vaughan, per la capacità di trattare con leggerezza e con tecnica eccelsa pezzi lontani fra loro ma di grande complessità. Di suo ci mette classe interpretativa, qualità che non sempre va a braccetto con il talento. Confinare però il cammino di Cécile Mc Lorin Salvant in un solo ambito sarebbe riduttivo: ne è esempio calzante il nuovo album – sesto di una serie inaugurata nel 2010 e primo registrato per i tipi della Nonesuch Records, distribuzione Warner in uscita oggi – dal titolo Ghost Song. Dodici brani di cui sette originali e cinque tratti dal canzoniere internazionale, non necessariamente noti. In un simbolico fil rouge che unisce testi dalle tematiche ampie, ne esce un album creativo ma anche inquieto dove si parla di fantasmi, nostalgia e desiderio. «È diverso da tutto quanto ho fatto in passato» – conferma la cantante nata a Miami trentadue anni fa, vincitrice di tre Grammy Awards. Le liriche della title track sono struggenti quanto drammatiche: «E se l’amore se ne fosse andato, ma tu provassi ancora emozioni e ci stessi ancora lavorando, combattendo con il fantasma di quell’amore?»
«Ghost Song» è un altro tassello della tua discografia. L’impressione è che l’obiettivo sia quello di entrare dentro ogni singola traccia per portare alla luce sensazioni, sentimenti inesplorati. Sia nel materiale originale che nelle canzoni di altri autori. È così?
Questo è quello che cerco di fare ogni volta che canto! Ma nello specifico del disco devo dire che ho lavorato in una maniera nuova, utilizzando modalità che non avevo mai percepito prima. L’inquietudine ispira il mio modo di comporre.
«Wuthering Heights» è universalmente definito uno dei pezzi che identifica più la carriera di Kate Bush – cosa ti piace di quella canzone con cui hai scelto di aprire il disco – e soprattutto senti affinità con la cantante inglese?
Penso che quel brano sia la migliore interpretazione del romanzo di Emily Bronte. Il libro è mozzafiato, uno dei miei preferiti. La canzone è così insolita. L’ho sentita per la prima volta quando avevo 16 anni e ne sono rimasta completamente ipnotizzata. Mi ci sono voluti 16 anni per decidere di cantarla: Kate Bush è fonte di ispirazione come cantautrice e artista. La amo.
In «Thunderclouds» affronti con franchezza un tuo disturbo, l’insonnia. Ma non solo: il testo parla di sofferenza nell’oscurità…
Mi sveglio ogni notte alle 4 del mattino. Se sto bene, mi giro e torno a dormire in fretta. Altrimenti finisco per passare ore a leggere soprattutto le vite degli artisti che amo, a volte disegno, a volte guardo video. Odiavo l’insonnia e cercavo di combatterla, ma più la accetto, più va via.
Hai definito «Ghost Song» un lavoro in cui qualche modo le canzoni si rispecchiano l’una con l’altra…
Si, è così. Ho cercato di creare questa strana simmetria, in modo che iniziando sia dal principio che dalla fine, i brani sono comunque collegati. La protagonista di I Lost My Mind è una bambola russa. L’ho scritta nel mezzo della pandemia. C’erano notti in cui volevo solo urlare. Era questa parte più profonda di me che diceva “che ti importa se questo pezzo suona completamente pazzo, è ok se continui con questa cosa completamente folle e non devi preoccuparti se la gente penserà che hai perso la ragione per averlo fatto”.
La tua voce ha un ampio spettro ed è uno spettacolo ascoltarla sia dal vivo che nel disco. È sbalorditivo il modo in cui sai appropriarti con naturalezza di vari stili e tendenze. Si passa dal jazz, al blues, al folk e spesso nei tuoi dischi ci sono brani tratti dalla musica e dal vaudeville. Come scegli il tuo repertorio?
Non penso a generi o periodi di tempo quando ascolto la musica. Canto solo canzoni che mi sorprendono, che mi fanno ridere o piangere, che mi eccitano. Non importa da dove o quando vengono.
Come vivi da artista le tensioni razziali, la deriva sociale causata dalle politiche di Trump che non si esauriscono con la fine della sua presidenza. Anzi. Temi un’escalation di scontri ed episodi di razzismo nel prossimo futuro?
Temo sempre l’escalation degli scontri, ma sono una persona generalmente pessimista. Quindi cerco di bilanciarlo con la speranza. Devo sforzarmi di essere fiduciosa e positivo. Per vedere la travolgente quantità di amore e di comunità che già esiste nel mondo.
Hai citato spesso le figure di Barbra Streisand e Judy Garland come fondamentali nella tua formazione artistica – e culturale ovviamente – anche per la loro capacità di associare il canto alla recitazione. Il cinema e il teatro ti attraggono?
Sì! Le trovo forme d’arte irresistibile, mi piacerebbe approfondirle in un futuro prosssimo.
La Francia ha avuto una forte influenza sulla tua crescita artistica. Da giovane hai trascorso quattro anni ad Aix en Provence dove hai iniziato a cantare jazz e soprattutto hai assorbito il repertorio di Georges Brassens, Leo Ferré, Barbara, Jacques Brel. Cosa ti affascina della musica francese?
La poesia, l’atmosfera, l’aspetto emotivo, la teatralità: tutti elementi che in qualche modo ho cercato di portare nel mo mondo.
Un disco dalla gestazione dolorosa, a quanto pare, amori perduti e tanto altro. Ghost song – la canzone – da dove viene e come ti rappresenta?
Sai, è difficile per me spiegare completamente quello che metto nei testi delle mie canzoni. Spesso provengono da un luogo che non possiamo vedere o spiegare a parole: mi aiuta l’immaginazione.