E così centinaia di persone senza volto (chi al telefono, chi online), collegate da ogni parte del globo, hanno partecipato martedì all’ultima vendita all’incanto indetta a Torino dalla casa d’aste Bolaffi, stella polare di questo settore in Italia, che affonda le sue radici nella filatelica e nella numismatica.

Protagonisti della giornata, lotti particolarissimi: 370 poster cinematografici intrisi di storia. Andati a ruba: ne è stato venduto l’80 per cento circa, per una somma complessiva di 325 mila euro (diritti inclusi). Parliamo di un mercato, quello dei poster e dei manifesti per la settima arte, che vale 250 mila euro l’anno, 2 milioni e mezzo se si abbraccia il pianeta intero. A fornirci i dati è la stessa Bolaffi, che traccia questo identikit del collezionista-cinefilo: “È molto specializzato: alcuni si concentrano su un genere, altri su un regista o un determinato periodo. È un addetto ai lavori, o un fortissimo appassionato tout court. La sua età media oscilla tra i 40 e i 60 anni. Gli americani sono i più numerosi. Alle volte incide in maniera predominante, nelle scelte, la personalità dell’illustratore”.

Ma torniamo alla compravendita di due giorni fa: la locandina comprata al prezzo maggiore è stata quella della prima edizione italiana del Frankenstein di James Whale, anno 1935, col leggendario Boris Karloff. È stata smerciata a ben 87 mila euro, e la base d’asta era di 50 mila. Considerata un capolavoro di grafica espressionista, con i suoi verdi e viola litografici tenuti intenzionalmente saturi, acidi e drammatici, la quintessenza della pellicola viene tratteggiata nel mulino in fiamme e nel volto del mostro-antropomorfo. A disegnarla fu Raffaele Francisi (1901-1945), che aveva uno studio a Roma in piazza di Spagna e morì prematuramente per una malattia contratta in guerra durante la campagna di Grecia.

Al secondo posto si è piazzato il manifesto della prima edizione tricolore di Tempi Moderni (1937), il capolavoro di Charlie Chaplin, venduto a 28 mila euro (la richiesta iniziale era di 10 mila). A disegnarla, in questo caso, Anselmo Ballester (1897-1974), forse il pioniere della pittura cinematografica nella nostra penisola, attivo dal 1915 al 1960, e cioè dal muto ai fasti dell’Hollywood sul Tevere. Con Luigi Martinati e Alfredo Capitani fondò l’agenzia Bcm, padrona a lungo dell’illustrazione cartellonistica cinematografica nazionale. Da parte sua, firmò più di 500 manifesti, e quelli precedenti al secondo conflitto mondiale sono i più introvabili e agognati.

Completa il podio Il figlio di Frankenstein (l’orrido non spaventa i cultori, tutt’altro), con Karloff in coppia col mito-Bela Lugosi (1940), aggiudicato a 23.600 euro, artefice Francesco Giammari (1908-1973), artista di origine corsa.

Degni di nota anche gli exploit del poster ante litteram di Cabiria (1914), il film-kolossal che inaugurò il ménage artistico tra Gabriele D’Annunzio e il regista Giovanni Pastrone (liquidato a 10.600 euro e congegnato da Pier Luigi Caldanzano, della Ricordi di Milano); di quello di Ombre Rosse (1940) di John Ford (4.800 euro) e della locandina dell’esordio nel Belpaese dell’Alice Nel Paese delle Meraviglie (1951) di Walt Disney, comprata a 5.000 euro.

Un record assoluto, in questo mercato parallelo della galassia degli incanti e degli incantesimi, risale al finire dell’estate del 2018. La londinese Sotheby’s batté all’asta il manifesto cinematografico più antico della storia. Una litografia in puro stile Belle Époque realizzata dal francese Henri Brispot, celebre pittore di genere, per promuovere la prima proiezione pubblica dei fratelli Lumière, a Parigi, nel dicembre del 1895. In un seminterrato e al cospetto di pochi eletti. La base d’asta era di 40 mila euro, ma l’antenato degli antenati dei poster per il grande schermo è stato pagato quattro volte tanto.