Cara, dolce insopportabile malinconia

Il testo secentesco di Robert Burton, il più monumentale ed enciclopedico sul tema, arriva in edizione integrale. Leggerlo, soprattutto oggi, aiuta a non farci travolgere dalla piena degli eventi
di Stefano Bartezzaghi
«Sono oltremodo noioso. Procedo ». Nello scrivere, all’autore poteva tornar presente il motivo profondo che lo aveva indotto ad aprire un cantiere letterario che lo avrebbe poi impegnato per il resto della vita: procedere, superare la noia delle proprie stesse digressioni, tornare al punto e abbandonarlo ancora.
La clausola, almeno come è nell’originale («But I am over-tedious, I proceed»), pare un Samuel Beckett. Non lo è, ma l’errore non è stupido, visto che Beckett è stato tra i lettori più appassionati di Robert Burton (1577-1640) e della sua L’anatomia della malinconia . Come Jonathan Swift, come Samuel Johnson, come Laurence Sterne, come John Keats, come Herman Melville, come Jorge Luis Borges.
Scritta allo scopo di tenere sé stesso occupato e così non accorgersi della propria stessa malinconia («perché ubi dolor, ibi digitus, bisogna grattarsi nel punto in cui si sente prurito»), L’anatomia si può chiamare “libro” solo per burocratica specificazione merceologica, o per convenzione. Lo ha tradotto un traduttore. Lo ha pubblicato un editore, Bompiani. Si vende nelle librerie. È fatto di parole, tante, leggibili su pagine inchiostrate, tante. Ma è un libro tanto quanto è un viaggio, una meticolosa psicoterapia, una biblioteca, un’interminabile esperienza in sala di dissezione. È appunto interminabile e un libro per essere tale deve invece essere finito.
Anatomia: il bisturi si sposta dal corpo all’anima e dall’anima alla sua malattia. Il trattato che ne risulta non è più una speculazione, cioè una riflessione, un rispecchiamento. Scinde la materia, procede per “sezioni”, “sottosezioni”, “membri” e arriva ai suoi componenti di base: l’anima razionale, l’intelletto, la cupidigia, l’alimentazione, i miasmi dell’aria, le emorroidi, i baci, l’ateismo.
Elenchi golosissimi, termini latini lasciati cadere nelle frasi inglesi, come oggi facciamo con i termini inglesi nelle frasi italiane, pedantismi e perle. Ogni minima articolazione di un discorso tanto universale come la malinconia (e così universali non sono molti) appare inguainata da un rivestimento di sentenze provenienti da classici, Bibbia, filosofi medievali, umanisti. Burton li conosce tutti: l’elenco di autori e opere che cita occupa 87 pagine, fitte, di quel miracolo editoriale che è la pubblicazione del trattato in traduzione integrale (la prima, in italiano), con testo originale a fronte (la prima al mondo), note e apparati curati dal traduttore unico Luca Manini (dieci anni di lavoro) e dalla consulente, la studiosa di medicina antica Amneris Roselli, nella collana dei Classici della letteratura europea curata da Nuccio Ordine per Bompiani.
Un’antica arguzia vuole che la labirintica enciclopedia di Burton definisca tutto tranne che il suo oggetto, la malinconia. Non è del tutto vera, ma è vero che la malinconia non è una cosa sola, né è consigliabile proiettarla sui significati contemporanei della parola o sui suoi possibili analoghi, come la depressione, il tedium vitae o lo spleen . Non c’è nulla di più maligno e non c’è nulla di più dolce della malinconia, dichiara Burton sin dal poetico sommario in apertura di trattato.
Tutto può causare malinconia: Dio e un’alimentazione a base di carne di pavone e cavoli. È la malattia della cupezza ma anche quella del genio artistico. Oggi rientra in quei meno monumentali cataloghi e atlanti delle emozioni e delle passioni umane che hanno di recente riempito le librerie e riscosso interesse a volte ben meritato.
Ma la malinconia di Burton non è una passione: è l’esito del sopravvento che la fantasia prende sulla ragione e che dunque consente alle passioni propriamente dette (amore, gioia, desiderio, odio, rivalità, pietà, vergogna, ambizione..) di divenire smodate e corrodere gli “spiriti vitali”.
Si può essere malinconici per cause innate, ereditarie, per esempio perché lo sono i genitori; oppure per cause contingenti: per la balia da cui si è preso il latte, oppure per l’educazione, o per uno spavento, per derisione, oppressione politica, tracollo economico, incidente. Vapori ventrali causano la malinconia, ma se sfogati la leniscono.
Càpita ai flatulenti ma anche a vergini, monache e vedove. A volte ci si cura pregando, ma solo Dio e non i santi; a volte giova il medico. Un buon presagio di fine delle tribolazioni malinconiche è la comparsa di emorroidi e varici. Così almeno prometteva Ippocrate.
Burton invece dice: il malinconico si distragga! Lui stesso è per distrarsi dalla malinconia che ne ha fatto L’anatomia, riscrivendola e ampliandola fino a una sesta edizione uscita postuma. Più modestamente altri potranno darsi ai giochi, alla falconeria, alla palla (Burton però consiglia, maternamente, di farlo senza sudare troppo), o anche solo darsi a una deambulatio per amoena loca.
Assistere a una battaglia è pure un passatempo indicato.
La più ampia sezione è infine dedicata alla malinconia d’amore, che è un tormento anche quando è felice e che ispira a Burton (sacerdote anglicano) descrizioni di malinconie particolarmente euforiche: «Egli è totalmente animato dal fiato di lei, l’anima di lui vive nel corpo di lei, ella tiene le chiavi della sua vita ».
E dopo aver ripreso e citato doviziosamente i tradizionali e pii consigli di prudenza e castità non manca di mostrare come la pensi lui: «L’ultima e la miglior cura della malinconia d’amore è lasciare che essi abbiano soddisfazione del loro desiderio».
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