Marco Imarisio
Il presidente viola Commisso vuole un nuovo impianto. La protesta del Fai: «Va solo adeguato, come la Scala»
FIRENZE
A pagina 31 del passaporto c’è anche lui. Lo stadio Artemio Franchi viene prima della basilica di Santa Maria Novella, del Duomo di Milano, e del Pantheon di Roma. Non se n’era accorto nessuno, chi fa mai caso alle immagini stampate sulla filigrana del nostro documento più importante. Ma in questi giorni ci si aggrappa a tutto, in una città che senza scomodare Guelfi e Ghibellini ha una innata propensione a dividersi su qualunque argomento.
L’equiparazione della struttura che il presidente della Fiorentina Rocco Commisso vorrebbe «abbattere» o «spianare» alle grandi cattedrali nostrane, diventa subito un altro argomento a sostegno della tesi di chi quell’opera vorrebbe invece preservare il più possibile. A breve arriverà il parere del ministero dei Beni culturali, che dovrà indicare quali parti della struttura vanno salvate. A prima vista, hanno tutti ragione. Lo stadio di Firenze è uno dei capolavori del razionalismo mondiale, apice del lavoro di Pier Luigi Nervi, un grande della nostra ingegneria civile che faceva stropicciare gli occhi a Le Corbusier. Al tempo stesso l’impianto nel cuore del Campo di Marte forse non è un rudere come sostengono i suoi detrattori, ma certo non sta bene, come riconoscono anche i suoi difensori.
Il proprietario italo-americano della società viola conta molto, anzi parecchio, sulla costruzione di un nuovo impianto al posto del Franchi, di proprietà del Comune. Con pragmatismo Usa, dove le cattedrali dello sport hanno bassa aspettativa di vita, non importa quale sia il loro valore storico, Commisso usa parole nette, fin troppo. Abbattere, e poi ricostruire sulla stessa area, che gli verrebbe assegnata per un secolo. Non è tipo da sfumature di grigio, colore da sempre prevalente a Firenze. Altrimenti, è la minaccia implicita, me ne vado. Per una piazza che ha già subito il trauma del fallimento calcistico ai tempi di Vittorio Cecchi Gori, non è un argomento da poco.
«Siamo i primi a riconoscere che il Franchi è inadeguato». Nell’elenco dei contrari alla demolizione figurano anche il Fai, Fondo Ambiente Italiano, e il suo storico vicepresidente Marco Magnifico. «Lo era anche la Scala di Milano, della quale si prese cura Mario Botta. Noi chiediamo solo che venga adeguato a esigenze ormai mutate. Ma raderlo al suolo sarebbe una bestemmia». A far montare una protesta fino a qui carsica è stato un emendamento al decreto Semplificazione approvato lo scorso settembre, primo firmatario Matteo Renzi: «L’esigenza di preservare il valore testimoniale di un impianto è recessiva rispetto all’esigenza di garantirne la funzionalità», che tradotto significa il salto del parere vincolante della Sovrintendenza. Apriti cielo.
Il Fai ha sostenuto la procedura d’urgenza presso il Parlamento Ue della petizione firmata dai nipoti di Nervi, nella quale si sostiene che quell’emendamento, l’articolo 55, è in contrasto con i trattati europei. Obiezione per altro accolta, con eventuale ritorno a una situazione di stallo. «Se creiamo diversi livelli di priorità tra la tutela dei nostri capolavori e le esigenze dello sport» dice Magnifico, «non siamo più l’Italia». L’unica altra ipotesi sul tavolo sarebbe un nuovo stadio nel comune di Campi Bisenzio. Una beffa per Firenze, che si ritroverebbe una struttura in abbandono senza i vantaggi del nuovo stadio, mentre Commisso dovrebbe costruire in un’area dove al momento non arrivano mezzi di trasporto, con conseguente impennata dei costi.
Dario Nardella è un sindaco tra incudine e martello che cerca una soluzione equilibrata facendo ricorso al buon senso. «Il nostro stadio è un bene di grande valore culturale che ha bisogno di un rinnovamento massiccio, dati gli attuali problemi di stabilità. A chi non vuole toccarlo per nulla, ricordo che la sua funzione originaria era di ospitare eventi sportivi, non altro». Il soprintendente Andrea Pessina, la voce più forte nel ricordare il valore artistico dello stadio, ha rinviato la palla a Roma. Diteci voi quali sono gli elementi architettonici meritevoli di conservazione, che però, in base alla nuova legge, «potrà avvenire in forma diversa o distaccata da quella originaria». Il punto di caduta potrebbe essere il progetto del professor Marco Casamonti, presentato alla Fiorentina e finora mai reso pubblico. Prevede la conservazione di tutte le parti storiche del Franchi, a cominciare dalla celebre tettoia in cemento armato, fino alle le scale elicoidali, e alla torre di Maratona, da integrare in una teca di vetro e acciaio.
Non è detto che basti, a chi invoca le ruspe e a chi in questa storia ci vede per forza l’eterna lotta tra le ragioni dell’arte e quelle del dio denaro. Un sondaggio indica che il 67% degli abitanti è favorevole all’abbattimento. Luigi Salvadori, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, è tra questi. «In una città senza più infrastrutture, bisogna dare un segnale. Lo stadio forse non è l’opera più importante, ma a livello psicologico è la più facile da far passare». Sostiene Magnifico che quei numeri sono dovuti al fatto che nelle scuole lo studio dell’architettura si ferma al Brunelleschi. «Se la gente sapesse, lo giudicherebbe un capolavoro che va solo adeguato ai tempi». Intanto, se ne parla più all’estero che in patria. A difesa del Franchi si sono schierati nomi importanti come Santiago Calatrava, Jean Nouvel, Norman Foster. Prima o poi si arriverà a una decisione. A modo nostro, però. Sempre con il fiato corto, dopo esserci fatti male da soli.
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