Cantami o Musa

Musa Juwara ha diciotto anni e domenica ha fatto gol a San Siro contro l’Inter. Il Bologna ha vinto e lui è diventato un eroe, ma un eroe diverso, non come gli altri ragazzi prelevati dalle giovanili e subito formidabili. La sua storia è stata raccontata in lungo e in largo con ambizioni dickensiane: Musa arrivò in Italia con un barcone quando di anni ne aveva quattordici. Sul modulo della Croce Rossa scrisse no parents, niente genitori. Era partito dal Gambia, aveva attraversato il Sahara e il Mediterraneo. Si ritrovò nel centro di accoglienza di Ruoti, Potenza, e stava l’intero giorno a giocare a calcio sul piazzale. Era uno spettacolo. Lo notarono i dirigenti della Virtus Avigliano, lo tesserarono, l’allenatore Vitaliano Summa lo prese in affido. Un anno dopo era già al Chievo, poi al Bologna. Domenica il gol, la vittoria e l’8 in pagella sulla Gazzetta. Una biografia irresistibile, vero? Non sono mica tutti ciondoloni o, peggio, spacciatori o terroristi gli africani col miraggio dell’Europa, ci sono anche i bravi ragazzi col loro bravo sogno e le mani solidali tese e il lieto fine. Appunto: un diverso, anche come eroe. Ma l’edificante favola, esuberante di pietismo, è stata ricondotta a quote più umane, più profondamente umane, proprio da Musa. Ogni volta, dice un dirigente della Virtus Avigliano, si chiede: mi prendono perché sono arrivato col barcone o perché sono bravo? Ecco, a tutti interessa il barcone, a tutti tranne a lui, lui non vuole essere quello del barcone, vuole essere quello bravo. Non si aggrappa al passato lacrimevole ma a uno splendido futuro da conquistare. In questo sì, senz’altro un diverso.

 

 

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