Broker e banditi come avvoltoi

di Enrico Bellavia
Lo shopping in tempo di crisi è appena iniziato. Mafiosi, usurai, anche con l’abito buono dei broker finanziari, sono già a caccia di ottimi affari. L’offerta di liquidità immediata, la provvidenziale boccata d’ossigeno, agognata da imprenditori in ginocchio dopo due mesi di stop, è la chiave d’accesso per espugnare aziende pulite. I segnali c’erano, li aveva colti dal suo osservatorio il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho. E, dal basso, dal territorio, l’Ambulatorio antiusura di Luigi Ciatti aveva dato l’allarme sull’escalation del ricorso al credito a strozzo da parte di commercianti e ristoratori senza macchie ma sommersi da debiti e ingiunzioni di pagamento. Ovvero i prototipi delle vittime ideali.
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di Enrico Bellavia ? segue dalla prima di cronaca G ente che vive galleggiando sul flusso di denaro che entra dall’attività e serve a giostrarsi tra stipendi, fornitori, pigioni e utenze. Un sistema che è il nerbo del nostro terziario. Fatto di fidi bancari, scoperture, dilazioni nel saldo delle materie prime. Un gioco di equilibri quotidiani, di continui negoziati con istituti di credito e grossisti più che con la propria abilità, il mestiere e il rischio d’impresa. Basta un calo negli affari per demolire il castello che faticosamente si è edificato.
Figurarsi settimane di blocco totale, un drastico ridimensionamento delle proprie attese, gli insopportabili affanni della nostra burocrazia e le banche, lente e pigre, quando non riottose e ostili, a concedere prestiti ancorché garantiti.
In questo quadro, gli impresentabili con il portafoglio gonfio di quattrini accumulati con mille traffici, trovano le migliori condizioni per un riciclaggio basico: denaro, pronto e immediato. Frutto avvelenato che è difficile non addentare quando si è alla fame. Per tanti che resistono, altrettanti cedono. Il passo successivo è il cambio di mano nella proprietà dell’azienda, per spolparla all’osso o tenere aperto un canale comodo a ripulire altro denaro: finti introiti, finti acquisti, finte spese. Carte, fatture, scontrini che giustificano movimenti di quattrini altrimenti destinati a rimanere in nero. Fu stimato che almeno cinquemila ristoranti sono in mano alle mafie.
E la cifra, già di per sé prudente, dimostra che nulla è inedito. Ma qui si tratta di rivedere al rialzo quei numeri e allargare l’orizzonte ad altri settori pronti a essere divorati. Per ogni imprenditore che cede, due pezzi di libertà sono fagocitati. Perché l’altro, quello che resiste, avrà un concorrente imprendibile, un gigante inafferrabile. Pezzo dopo pezzo, viene ingoiata così l’economia di una città, di un paese. Mentre i broker dei padrini si sbottonano la giacca e si accomodano a tavola per la prossima portata.
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