Bonnard e la moglie-modella Una passione lunga un secolo.

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«Sibillino, poco accessibile e discreto come quelle dimore patrizie in cui si nascondono le proprie ricchezze e sofferenze». Così François Joachim Beer descrive Pierre Bonnard (1867-1947), cui il Museo d’Orsay dedica una retrospettiva (Parigi, sino al 19 luglio) con le «stagioni» della sua avventura pittorica. Ritratti, nature morte, interni, paesaggi parigini, scenari intimi, scene mitologiche. All’inizio, Pierre aderisce al gruppo dei Nabis (Profeti) — il termine è coniato dal poeta Auguste Cazalis per alcuni artisti dell’Accademia Julien che guardano a Paul Sérusier e si ispirano al Giapponismo (campiture piatte di colore, composizione libera, ecc.) — ma, poi, preferisce vivere appartato. Ciò spiega anche perché sia diventato sempre più «il poeta del quotidiano» e della luce. A Bonnard non interessano i movimenti, ma solo i pittori nei quali riesce a identificarsi. Gauguin, per esempio, Matisse, Monet (che va spesso a trovare a Giverny e di cui ammira il danzare sull’acqua delle Ninfee). Davanti ai nudi erotici di Renoir, Bonnard resta imbambolato, avendo i suoi solo il profumo di pane di giornata. Eh sì, perché il pittore è una sorta di cantore dei riti quotidiani domestici, legati a riflessioni, ai sogni.
Bonnard agguanta il tempo e lo trascina sulla tela: scene mitologiche (fauni al crepuscolo, il ratto d’Europa con un occhio alle pastorali di Tiziano), boscaglie selvatiche, nature morte viste dalla finestra di casa. Davanti alle sue campagne primaverili, alle danze estive, alle vendemmie autunnali si avvertono e si captano le stesse sensazioni che si provano nel leggere Proust (cui Bonnard viene spesso accostato). Attento ai mutamenti della luce, il pittore ne coglie ogni più piccolo particolare; la pennellata diventa così ammaliante e coinvolgente che si ha l’impressione che da un momento all’altro i colori stiano sul punto di esplodere.
Vivendo a cavallo fra Otto e Novecento, in un tempo in cui le avanguardie si susseguono con un ritmo incalzante, la scelta di non essere coinvolto rispecchia il carattere tranquillo, modesto di una persona che non ama i bagliori. Al contrario dei suoi dipinti, che esplodono di luce. Probabilmente perché è l’unica maniera in cui Pierre riesce a riversare le proprie emozioni, altrove trattenute.
Anche se i soggetti di Bonnard prendono direzioni diverse, il fulcro principale riguarda una fioraia, Marta Boursin, che, dal Berry dov’era nata, approda a Parigi nel 1892, a 23 anni. L’anno dopo incontra il pittore, di cui diventa modella e amante. Dice di chiamarsi Marta de Melliny, di essere orfana e senza parenti (gli dirà la verità solo trent’anni dopo, quando Pierre decide di sposarla). Di notevole intelligenza, Marta cerca di rendersi indispensabile, occupandosi anche delle piccole incombenze di tutti i giorni, che l’artista aborre. Una coppia insolita, ma con un legame così forte da essere vissuto in maniera quasi ossessiva da Pierre, della cui vita privata si sa poco e quel poco testimoniato dagli amici più cari.
Di Marta, invece, si conosce tutto. Bonnard l’ha celebrata in un migliaio di quadri, cogliendo ogni suo gesto: dai riti quotidiani davanti alla toletta, alle immersioni nella vasca da bagno; dalle spugne usate per lavarsi, al suo affaccio sul balcone. Molti i nudi: in piedi, seduta, sdraiata in pose languidamente erotiche o anche mentre legge a tavola o nel tinello.
Ed ancora: mentre si infila le calze nere o indossa abiti di colori diversi o mentre passa da una stanza all’altra o passeggia in giardino. Il suo corpo longilineo sembra possedere l’eterna giovinezza. Nonostante il passare degli anni, Bonnard non ne modifica mai i tratti, quasi che, isolandola dal tempo, volesse immortalarla. Ama ritrarla sempre giovane e bella.
Gli ultimi anni con Marta non sono privi di difficoltà. Gelosissima, la donna strappa e brucia un paio di disegni erotici di Bonnard, destinati ad illustrare le Note sull’amore di Claude Anet, solo perché la modella era un’altra. D’un tratto, poi, esce dalla vita di Pierre per entrare in un mondo onirico dove non c’è più spazio per lui. L’ossessione di Bonnard per la moglie si protrae anche oltre la sua morte (1942). Maillol le segnala la modella Diana? Pierre la dipinge col corpo di Marta. Ogni ritratto è come «uno dei tanti aspetti fra infinite possibilità».
«Visse per la pittura», scrive qualcuno alla morte dell’artista. Ma, forse, sarebbe più esatto ricordare il «Vissi d’arte, vissi d’amore» che canta Tosca al barone Scarpia.

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