Bersani “Pronti per dare alla sinistra un nuovo partito”

di Stefano Cappellini
ROMA — «Da questa situazione di crisi la sinistra non uscirà con i vecchi attrezzi». Pier Luigi Bersani, ex segretario del Pd, uomo di governo della sinistra, padre nobile dei fuoriusciti dal Pd in rotta con Matteo Renzi, è convinto che sia l’ora di un progetto nuovo e comune di tutte le componenti sparse della sinistra italiana. «In tutto il mondo la sinistra è attardatissima sulle sue antiche parole d’ordine. In Italia ancora di più. Ecco perché è l’ora di una cosa nuova ».
Bersani, è pronto a rientrare in un Pd rinnovato?
«Sento spesso pronunciare questa parola: ricomposizione. Lo dico chiaro, non è questo il problema. Non servirebbe, non è sufficiente appunto rimettere insieme i vecchi attrezzi.
Quando il Pd parla di allargarsi, aprirsi, rifondarsi, dico che è meglio di niente. Ma è diverso dal dire, come invece dovremmo: serve una cosa nuova, una sinistra dei tempi nuovi.
Noi siamo pronti».
Zingaretti deve sciogliere il Pd?
«Zingaretti ha capito una cosa fondamentale: non possiamo stare fermi sulle gambe, qualcosa bisogna che c’inventiamo. Con l’attuale assetto dei partiti non si incrociano le nuove sensibilità. Sennò non ci sarebbe bisogno delle Sardine».
Anche le Sardine devono partecipare al nuovo partito?
«Mica solo loro. C’è un mondo civico, cattolico, del volontariato. Gente che non può sentirsi dire quello che disse Berlinguer a noi del ‘68: entrate e cambiateci. Questi soggetti vogliono essere protagonisti».
E come si comincia?
«C’ho una idea. Un grande appuntamento programmatico, apertissimo, che parta da tre questioni. La risposta della sinistra moderna alle tre grandi transizioni: ecologica, demografica e tecnologica. Titoliamo una serie di proposte che siano propulsive ma anche protettive rispetto alle conseguenze sul popolo di queste transizioni. L’esito del percorso lo lascio al tavolo. Se va bene, sarà un un partitone. Al peggio sarà comunque un nuovo nucleo familiare».
In questo partito ci si iscrive in sezione o sui social?
«Quando vado nelle sezioni non vedo mai un giovane. Ma molti giovani, e non una volta sola, mi hanno portato in birreria a parlare di politica. Il nuovo partito sarà un incrocio di fisicità e immaterialità. Purché mi si giuri che si troverà sempre il tempo di un incontro occhi negli occhi».
Ma chi guida l’unione?
«Figure autorevoli che garantiscano una partecipazione alla pari a tutti quelli che ci stanno e che si sentono parte di una sinistra larga, plurale, con sensibilità sociale, ambientale e civica, che si sentono alternativi alla destra e non hanno ubbìe centriste».
Parla di Renzi e Calenda?
«Parlo di quelli che pensano, sbagliando, che si creerà di nuovo uno spazio al centro. Il centrismo oggi è un luogo del na rcisismo e delle avventure individuali nel quale si affollano protagonisti che pensano di concorrere tra di loro in un metro quadro di spazio. Alla fine, forse, si alleeranno e il simbolo sarà il Narciso che si specchia».
Anche lei, come Renzi, ha cercato una scissione ed è fallita.
«Prima di andare via, lanciammo allarmi in ogni modo possibile.
Dicevamo: siete fuori come i balconi, state facendo una legge elettorale e un incrocio con una nuova Costituzione in cui uno con meno del 30 per cento prenderà in mano tutto.
Il fatto è che pensavano di esser loro a prendere in mano tutto. Avessero regalato a Salvini quelle riforme, oggi la Turchia ci sembrerebbe una democrazia più evoluta della nostra.
In quegli anni, inseguendo un blairismo estenuato e in sedicesimo, la sinistra ha continuato a togliere protezione mentre la mucca era già visibilmente nel corridoio».
Nel Pd restano tanti renziani.
«E io dico: proprio perché non siete in condizioni di fare davvero i conti con il renzismo, buttatevi su un progetto nuovo».
Fuoco amico. Quello che, dice Renzi, ha portato il Pd al 18%.
«Non sono sicuro che tenendo il profilo del 2013 avremo potuto vincere nel 2018 , ma certo non si sarebbe disperso l’esercito. È questo il problema anche dell’Emilia Romagna. In questi giorni giro per la Regione e dico: oltre al sacrosanto buongoverno mettiamoci cuore, il senso della nostra storia».
Il nuovo partito della sinistra sarà alleato del M5S?
«I 5S sono nati con l’anti-politica ma hanno sempre avuto un filone di civismo radicale. Se il filone guida il traffico, non va bene. Ma è un problema se, in un Paese come l’Italia, non è rappresentato. Ora si sono cacciati nel dibattito Di Maio sì, Di Maio no. Sono vittima di un meccanismo verticistico e privo di responsabilizzazione, perché decide sempre qualcun altro. Tutto questo impedisce a loro e a noi di rispondere alla domanda chiave: da che parte si mettono culturalmente. Ne ho parlato con tanti di loro».
l 5S che le parlavano solo in streaming ora le chiedono consigli?
«Qualche volta, e io gli dico sempre: se andate avanti così, il M5S è finito».
Pure il governo è ostaggio, tra le altre cose, della crisi di identità del Movimento. Dov’è la discontinuità con l’era giallo-verde?
«Qui per me c’è un misconoscimento di tratti di discontinuità. Ora non si fermano più i barconi con le donne incinte e non si parla più di flat tax.
Nella sanità si muove qualcosa, di serio. Ma in chi da sinistra attacca questo governo vedo un riflesso antico di estremismo, l’idea un po’ balorda che la sinistra possa rinverdire all’ombra di una destra che prende in mano il pallino».
Stato di diritto e blocco della prescrizione paiono inconciliabili.
«Ci sono due principi costituzionali sacrosanti. I reati vanno puniti senza scappatoie. Il processo deve avere una ragionevole durata. E per definizione questi due principi devono essere in equilibrio».
L’equilibrio è saltato.
«In questo momento sì. Ma ho sentito di cosa si ragiona al governo e stanno lavorando a un buon compromesso.
Non si alzino le bandierine su un tema che, peraltro, agli occhi dei cittadini è un servizio che non funziona. Occorre metterci un po’ di risorse, correggere procedure, sennò sembra sempre tutto un dibattito tra costituzionalisti, pm e avvocati».
Molte decisioni chiave sono state rimandate a dopo il voto in Emilia.
La correzione dei decreti sicurezza di Salvini, per esempio. La sinistra ha paura di perdere voti parlando di immigrazione?
«Bisogna radicalmente correggere i decreti Salvini, non solo sulle sacrosante obiezioni del Quirinale ma in particolare sulla questione di meccanismi di integrazione che sono stati segati. Grazie a quelle demenziali norme altri 60 mila fantasmi girano per le nostre strade.
Invece, come mi sembra dica il ministro Lamorgese, serve un meccanismo molecolare di regolarizzazione. Separare l’acqua buona da quella più problematica».
Apprezza Lamorgese?
«Non la conosco, ma è un ministro sotto la cui guida ci sono state retate e blitz anticriminalità senza che lei abbia mai fatto un tweet o una dichiarazione. Madonna, per me ha già acquisito un bonus gigantesco».
Ma non ha risposto. Temete che a parlare di migranti Bonaccini perda le elezioni in Emilia-Romagna?
«Io son mica buonista. Cerco di ragionare. La radice dei problemi che la sinistra incontra sul tema è l’intellettualismo. Bisogna parlare alla gente a cui piace Salvini e che piace a Salvini. Discutere con loro del problema della casa, dei pronto soccorso intasati e anche di questo problema, che magari non razionalizzano, dei fantasmi che sono finiti per strada. La paura nasce dalla non conoscenza. Serve una linea di governo, né buonista né di destra. Ma la sinistra fa fatica ad andare nei bar e, se nei bar non ci siamo, con il popolo non si parla».
Chiudiamo tornando alla mucca.
Sicuro che non fosse visibile nel corridoio anche quando lei contribuì a dare vita nel 2011 al governo Monti? Secondo molti è l’errore capitale della sua carriera.
«L’idea che, caduto Berlusconi, si sarebbe potuto tornare al voto è destituita di ogni fondamento. Al centrodestra venne meno l’appoggio di una ventina di parlamentari solo perché c’era la garanzia che il Parlamento non si sarebbe sciolto.
Altrimenti ci saremmo tenuti Berlusconi con 580 punti di spread.
Detto questo, era una balla che fossimo a un passo dal default? Se è così, allora ha ragione chi mi critica.
Se non era una balla, e non lo era, abbiamo fatto bene. L’errore, forse, lo feci ad andare avanti quando Berlusconi staccò la spina e noi siamo rimasti lì. Ma sa chi me lo rimprovera di più? Quelli che all’epoca volevano addirittura candidare Monti al posto mio».
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