Beni culturali una lunga estate calda

L’addio del direttore Gino Famiglietti, i vertici dei musei ancora da confermare, il pasticcio del McDonald’s a Caracalla, i Caravaggio promessi al Giappone e poi bloccati. Caos e lotte di potere al ministero
di Sergio Rizzo
Primo agosto 2019: consigliamo al ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli di cerchiare la data sul calendario. Oggi infatti la guerra in corso sul suo ministero, già cominciata da un pezzo, imbocca una nuova escalation. Il salto di qualità è la nomina di Federica Galloni al posto di Gino Famiglietti sulla poltrona di direttore generale Archeologia, Belle arti e Paesaggio. È la seconda posizione burocratica in linea gerarchica del ministero, dopo quella occupata dal segretario generale Giovanni Panebianco, di fatto il ministro ombra fedelissimo del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Vincenzo Spadafora e del capo grillino Luigi Di Maio. Ma dal punto di vista strettamente operativo è forse la più importante, dopo la riforma appena fatta.
E qui, per spiegare di cosa stiamo parlando, è necessario un passo indietro. Qualche settimana fa Bonisoli mette il timbro sulla rivoluzione del ministero voluta da Panebianco e che in alcuni passaggi ha l’impronta riconoscibile di Famiglietti. La riforma, debolmente contrastata dalla ministra della Funzione pubblica leghista Giulia Bongiorno, attribuisce poteri tipici del ministro al segretario generale e concentra la funzione di tutela nella figura del direttore generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio. Apriti cielo: le proteste, soprattutto da parte dei alcuni soprintendenti che si vedono limitare la propria sfera d’azione, scattano immediate. Si dirà che questo accade sempre quando gli equilibri nelle alte burocrazie vengono messi in discussione. Ed è vero: basta ricordare che cosa provocò a suo tempo la riforma del predecessore di Bonisoli, Dario Franceschini. Ma questa volta c’è in ballo qualcosa di più.
Da che il ministero dei Beni culturali esiste al suo interno hanno sempre convissuto due anime spesso protagoniste di una lotta di potere senza quartiere. Una è l’anima che si può definire più commerciale, convinta che i Beni culturali siano “il nostro petrolio”, come spesso si sente dire, e che quindi vadano valorizzati, perfino senza andare troppo per il sottile. L’altra è l’anima che per semplicità possiamo qualificare come più integralista: persuasa che la funzione del ministero sia invece quella di tenere i beni culturali alla larga da qualunque tentazione affaristica, e che quel “petrolio”, termine aborrito, debba comunque rimanere ben custodito nel giacimento pubblico. In questo scontro che dura da quasi mezzo secolo nessuna delle due anime ha mai prevalso nettamente. Almeno fino a ora. Perché la riforma farebbe invece pendere decisamente la bilancia dalla parte della seconda, incarnata da Famiglietti e in sintonia con principi sempre professati dal Movimento 5 Stelle, partito che oggi controlla il ministero. Anche se basta leggere il contratto di governo stipulato con la Lega, dove si parla chiaramente di valorizzazione dei Beni culturali in funzione turistica e di rapporto con i privati per lo sfruttamento delle risorse culturali, per capire quanto sia stretto il sentiero e quanto sia costellato di contraddizioni. Per dirne una, come si tiene insieme l’affermazione del contratto che “i beni culturali sono uno strumento fondamentale per lo sviluppo del turismo” con la decisione di togliere la competenza sul turismo al ministero di Bonisoli per passarla all’Agricoltura del leghista Centinaio?
E contraddizione forse ancora più evidente è il passaggio delle consegne avvenuto oggi. Una riforma in chiave integralista era chiaramente disegnata sulla figura di Famiglietti. Appena varata, però, Famiglietti è dovuto andare in pensione. Non senza aver lasciato in eredità (e in extremis) al successore un paio di segnali pesanti e inequivocabili. Uno: lo stop al progetto di McDonald’s alle Terme di Caracalla, a Roma. Due: il no al trasferimento di alcuni quadri in Giappone per una mostra itinerante sul Caravaggio organizzata dall’associazione MetaMorfosi dell’ex deputato comunista Pietro Folena. Prestito già concordato con i giapponesi, ma bocciato dal comitato tecnico consultivo presieduto da Tomaso Montanari. Fra le opere bloccate, con la motivazione che il progetto scientifico non era adeguato, il San Francesco D’Assisi in meditazione di Michelangelo Merisi attualmente collocato a Palazzo Barberini.
Con l’uscita di scena di Famiglietti sarebbe stata logica, nello spirito di quella riforma, una nomina in linea con quella filosofia. Era circolato il nome del soprintendente di Firenze, Andrea Pessina. Fermato però, a quanto pare, dal niet leghista oltre che dai timori di possibili ricorsi. Si era allora pensato all’eventualità di trattenere in servizio Famiglietti, con l’obiettivo di sbarrare la strada alla pretendente più accreditata per anzianità e grado che nel giro di un paio d’anni sarebbe (anche lei) andata in pensione, ma la strada si è rivelata impraticabile. Così, stretto fra veti salviniani e anzianità di carriera, ossia la solita miscela di interessi dei politici e delle burocrazie, la scelta del mite Bonisoli è caduta proprio su Federica Galloni. Quanto a filosofia del proprio ruolo, l’esatto opposto di Famiglietti. Almeno a giudicare da alcune iniziative: gli esperti di storie romane ricorderanno il via libera alla vendita di alcune parti del quattrocentesco Palazzo Nardini, come pure i tre pareri positivi allo stadio della Roma a Tor di Valle, prima che la stessa soprintendenza decidesse di porre un vincolo sulle tribune del vecchio ippodromo. E le occasioni per verificare il cambio di rotta non mancheranno. Magari proprio dalla mostra in Giappone sul Caravaggio. «Abbiamo scritto al ministero di ripensarci. Capiranno che non si può fare una figura simile», confida Folena.
Il fatto è che non basta proclamare un certo cambiamento, se poi non si è in grado di perseguirlo concretamente impantanandosi nelle acque basse della politica e della burocrazia. Da oltre un anno i 5 Stelle hanno in mano uno dei ministeri più importanti senza riuscire a tracciare e seguire una linea precisa. Con la struttura che naviga nella confusione e nell’incertezza, fra nomine dirigenziali di prima fascia ancora nel limbo dopo ben 14 mesi (tra cui le direzioni di musei come Uffizi e Brera) e il fucile puntato della Lega che rivendica l’autonomia anche per i Beni culturali del Veneto e della Lombardia: impugnato al Collegio Romano Lucia Borgonzoni. Efficacissima, la sottosegretaria leghista senatrice e consigliera comunale di Bologna diplomata all’accademia di Belle arti, nella marcatura salviniana al ministro per caso. Il vero problema.
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