Gli aneddoti, il sodalizio musicale, la comune ricerca interiore. L’artista che gli è stato più vicino racconta l’amico scomparso
di Luca Valtorta
«Io abito qui. Questa casa è un regalo che lui mi ha fatto tanto tempo fa.
Era generosissimo Franco. Non ho mai conosciuto una persona così generosa. Ecco ti faccio vedere: questo è il suo giardino che in questo momento è un po’ incolto». Dalla casa di Juri Camisasca puoi vedere il prato e il giardino, gli stessi, ma da lati opposti, che vedeva Franco Battiato dalla sua veranda quando si sedeva a meditare. Come un segno o una metafora del rapporto che intercorreva tra lui e lo schivo musicista lombardo (è nato a Melegnano, nel ’51).
Lui e Franco si sono conosciuti a militare: «Praticava delle tecniche di autosvenimento per cui continuava a svenire ma nessuno riusciva a capire la causa. Era appena uscito Foetus ed era in un momento di grandissima creatività per cui per lui fare il militare era una cosa inaccettabile. Ci siamo conosciuti alla caserma Spaccamela di Udine: io sapevo chi era perché avevo letto un articolo su di lui su un giornale. Quando è arrivato aveva i capelli alla Jimi Hendrix, un giubbino di pelo rosso, una maglietta psichedelica, diverse collane e anche un paio di occhiali da saldatore al collo che poi mi ha regalato e un paio di occhiali da sole enormi, pantaloni attillatissimi che riproducevano la bandiera americana e stivali di pitone. Quando il capitano lo vede fa: “Che cos’è quello?”. E poi gli chiede: “E tu chi sei?” “Sono Battiato”. Il capitano sembra impazzire, si mette a urlare: “Mettetegli la divisa, tagliategli i capelli!”. E Franco: “Senta, si faccia psicanalizzare”. A quel punto il capitano se ne va, sempre urlando: “Non lo voglio più vedere!”. Siccome Franco nel giro di due giorni sarebbe dovuto tornare dal medico per i misteriosi svenimenti gli do un suggerimento per evitare di tagliarsi i capelli: “Questa notte, quando vai a dormire, appiccicateli tutti alla testa con il sapone”. Allora non esistevano ancora gel o cose simili. Lui mi dà ascolto. Il giorno dopo all’adunata non si presenta. Il capitano, subito: “Dov’è quello là?”. Qualcuno risponde: “È rimasto in branda”.
Arrabbiatissimo, si dirige verso il dormitorio e urla: “Ehi tu, sveglia!”.
Franco alza la testa ma… il cuscino gli resta appiccicato dietro! Tutti scoppiano a ridere tranne ovviamente il capitano che dà in escandescenze» .
Qualche giorno dopo Battiato viene dimesso per la sua misteriosa malattia mentre Juri a sua volta finisce il suo periodo di servizio: «Ho capito subito che era un genio, gli ho chiesto il numero di telefono e poi l’ho contattato. Lui mi ha combinato un appuntamento con Pino Massara, produttore e proprietario dell’etichetta Bla Bla. Io ero un ragazzino e mi presentai completamente impreparato, senza neanche un pezzo. Mi misi a suonare la chitarra accompagnandola a dei vocalizzi “Aaaaah, Hiiii”, cose così (ride). Massara: “Non ci trovo proprio niente di interessante”. E Franco, convintissimo: “Ma scherza, è straordinario!”. Una decina di giorni dopo mi sono presentato con venti canzoni e da lì è iniziato tutto» . Nasce così La finestra dentro (1974), un disco straordinario che ancora oggi suona attuale, alternando visioni allucinate (“Nel mio corpo ci sono fognature/ tutti le chiamano vene” in Un galantuomo) a questioni di genere (“Non portava i soliti calzoni/ ma una vecchia gonna rossa” in John) a immagini mistiche (“In questo istante la mia mente/ fa amicizia con la luce” in Un fiume di luce). Poi la crisi e la ricerca di sé in un convento benedettino: «Franco non era tanto d’accordo perché diceva che avevo ancora tante cose da dire nella musica. Ma quando la vocazione chiama non è possibile dire no. È stata come un’invasione di luce entrata in me. Quando me ne andai non glielo dissi, non volevo essere condizionato da un’influenza esterna. Rimase molto colpito» . Ma con Franco, Juri Camisasca è sempre rimasto in contatto e una volta uscito dal convento si sono ritrovati continuando a collaborare. Juri così ha scritto canzoni per Alice, Milva fino a pubblicare nell’88 l’album Te Deum, nel ’91 Il Carmelo di Echt. E ancora, nel ’99 Arcano enigma con i Bluvertigo, un album mistico ma quasi pop, il bellissimo Spirituality con Rosario Di Bella e l’intenso
Laudes nel 2019. Il suo rapporto con Franco è rimasto intensissimo.
Chi era davvero Franco Battiato?
«Cominciamo col dire che era un grande amante della vita per cui ogni cosa la faceva con entusiasmo. Per capirlo bastava guardarlo quando era in studio di registrazione: una forza della natura. Aveva un’energia fuori dal comune che metteva in tutto.
Una volta, tanto per fare un esempio, si era messo addirittura a imparare a fare i tappeti! (ride). Questo “fare” è per me l’espressione del piacere di vivere, dell’esistenza».
Cosa apprezzavi di più di lui?
«L’ironia. Prendi il disco del suo grande successo, La voce del padrone: era un disco pieno di ironia e al tempo stesso di saggezza. Franco era in grado di coniugare questi due poli, il misticismo e l’ironia. Cantare una cosa come “le mille bolle blu/ la barba col rasoio elettrico non la faccio più” non sembra dire molto, però è il senso del non senso quello che riusciva a trasmettere, come i bambini che cantano senza bisogno che le parole abbiano un senso preciso ma quelle parole sono l’espressione di una gioia di vivere.
Basti pensare a Cuccurucucu: solo lui poteva cantare certe cose passando da quelle a L’oceano di silenzio restando sempre lo stesso. E forse quelle canzoni non avrebbero avuto lo stesso successo senza gli arrangiamenti di Franco: lui è stato un innovatore anche in quello perché ha saputo creare delle sonorità capaci di trasmettere un senso di leggerezza e di semplicità attraverso un minimalismo in grado però di enfatizzare la parte melodica ».
Come faceva?
«Credo sia stato un percorso. Lui dalla Sicilia andò a Milano perché voleva fare il musicista. Per farlo si è messo a suonare con Ombretta Colli e Giorgio Gaber con lo stesso entusiasmo con cui poi ha fatto dischi come Foetus e Pollution e poi un altro tipo di sperimentazione ancora con cose come L’egitto prima delle sabbie fino alla Messa Arcaica.
Era veramente un Ariete: poteva sfondare qualsiasi porta».
In effetti, credo che sia l’unico non in Italia ma al mondo capace di passare dalla canzonetta, all’avanguardia alla musica classica.
«Franco era intelligentissimo. E aveva il dono del pentimento. Se anche veniva colto dall’ira poi si rendeva conto delle ragioni dell’altro e passava tutto. E comunque non l’ho mai sentito offendere nessuno».
Che cosa lo faceva arrabbiare?
«Sulla musica per esempio non accettava contraddizioni ma del resto l’autore era lui. Purtroppo negli ultimi tempi le cose erano cambiate e Franco se ne rendeva conto anche se forse non lo voleva ammettere coscientemente neanche a sé stesso.
Non voglio entrare nei dettagli ma una cosa la voglio dire a riguardo: è stato proprio durante il periodo della malattia il momento in cui Franco mi ha insegnato più cose. Perché lui ha accettato quella condizione senza mai ribellarsi, vi si è abbandonato.
L’ho visto che se ne andava e per me è stato un esempio di valore incalcolabile, un insegnamento molto grande che la vita mi ha dato. E a volte, anche quando non poteva più esserci una comunicazione sul piano razionale, vedevo nei suoi occhi dei guizzi e allora mi venivano i brividi perché capivo che sul piano dell’empatia, della simbiosi, dell’essenza eravamo in contatto. E ti dirò anche di più. Io Franco non lo sento morto. Lo sento presente nella mia vita. Sento che lui c’è. Io qui oggi sono rimasto solo e non è facile.
Prima c’era Franco e ci si vedeva ogni giorno ma ora, anche se non c’è più, non mi sento privato di un amico.
Tutt’altro. Sento che la sua essenza mi manda dei messaggi di qualcosa che è totalmente “altro”. La sua morte è stato uno shock sul piano razionale perché noi non siamo pronti. Io credevo di esserlo ma non era così. Avevo paura. Ma quando l’ho visto nella chiesetta che ha nel suo giardino, improvvisamente il cuore mi si è riempito di pace. Perché ho visto che il suo elemento fisico era svuotato di ogni peso psichico.
Sorrideva. E allora ho capito. E mi sono sentito contento perché comunicava un mondo beato: non avevo mai visto un’espressione simile nemmeno quando era felice. Mi ha ricordato la grande mistica carmelitana Santa Teresa di Lisieux, o meglio, quel tipo di dimensione spirituale: non c’è dubbio che nel momento in cui si è distaccato dal corpo abbia incontrato la luce».
Il 21 settembre all’Arena di Verona ci sarà un concerto dedicato a lui…
«Sì, ma io non andrò lì per commemorare una persona che non c’è più. Andrò a celebrare la sua rinascita nella vita che sta oltre questa vita. Anche i concerti che faccio adesso sono in questo spirito.
A parte il primo a Milano dove alla fine stavo facendo La stagione dell’amore e mi sono dovuto fermare perché l’emozione è stata troppo forte. Adesso continuo a celebrare il tesoro che ci ha lasciato pensando alla vita, non piangiamone la morte!».
Proprio sull’escatologia so che avevate visioni differenti.
«Io ho fatto un’esperienza monastica tra i benedettini durata undici anni in cui ho approfondito l’immensa ricchezza del cristianesimo. All’inizio volevo entrare in un ashram indiano ma poi ci sono stati dei segnali che mi hanno portato da un’altra parte.
Mistici come Teresa d’Avila o Meister Eckhart non hanno nulla da invidiare a ?ankara o Sri Aurobindo: usano solo un altro linguaggio. Franco era più influenzato dal buddhismo tibetano, io dal cristianesimo».
In un’intervista mi disse, e lo ha anche scritto in una canzone bellissima intitolata, non a caso, “Testamento”, che “Cristo nei Vangeli parla anche di reincarnazione”. È vero?
«Su questo io non ero d’accordo. Fa riferimento a un passo in cui i discepoli chiedono a Gesù se è lui l’Elia che deve venire.È un passo complesso che va interpretato simbolicamente. Ma qui entriamo nel mondo delle dispute tra gli studiosi e io non lo sono».
Ma voi discutevate di questo?
«Conoscevamo bene le rispettive posizioni. Io penso che Dio non lo puoi spiegare. Lo puoi vivere e puoi averne esperienza. Sento che c’è una vita al di là di questa vita ma il mistero è talmente enorme… Pannikar, un mistico e sacerdote cattolico che Franco aveva intervistato nella sua trasmissione tv Bitte, keine Réclame (2004) diceva che noi siamo come delle finestre che guardano il mondo ma in quanto finestra vedo solo la mia prospettiva.
Se riuscissi a condividere la prospettiva visuale di un altro arricchirei la mia conoscenza. Ecco perché è importante ascoltarci: la tua esperienza diventa la mia ricchezza.
La questione delle reincarnazioni è una possibilità. Io e Franco avremmo dovuto fare un disco insieme e stavamo iniziando a lavorarci.
Abbiamo fatto in tempo a scrivere solo la canzone che dà il titolo al suo ultimo disco, Torneremo ancora, in cui c’è questa frase: “Un mondo inviolato ci aspetta da sempre/ i migranti di Ganden/ in corpi di luce su pianeti invisibili”. Siamo tutti migranti finché torneremo all’ultima dimora. Quando me ne andrò da questa esistenza spero di trovarlo lì».