Appello a Macron: “Trasferiamo le spoglie di Rimbaud e Verlaine al Panthéon di Parigi”

Rimbaud aveva appena 17 anni, quando, nel 1871, dalla sua provincia profonda (odiata fino alla morte), la città di Charleville-Mézière, piombò a Parigi a casa di Verlaine, sposato con Mathilde. Arthur e Paul già si erano scambiati una breve ma intensa corrispondenza. Nascerà una passione che li porterà a fuggire a Bruxelles, poi a Londra, fino a quel 10 luglio 1873, quando Verlaine sparerà all’amico, colpendolo a un pugno. Nel frattempo c’erano stati tanto alcool e molta violenza (aggressivo Rimbaud, Verlaine molto meno, almeno quando era sobrio). Oggi si direbbe un amore tossico, ma amore comunque. I due, poi, non si videro mai più.

Oggi Arthur riposa nella cappella di famiglia a Charleville-Mézières, assai trascurata. Non solo: si ritrova proprio accanto al cognato Paterne Berrichon, che gli appassionati di Rimbaud (sono ancora tanti, di ogni sorta, fino alla cantante Patti Smith) ritengono un vero usurpatore. Dopo la morte di Rimbaud, «purificò» il suo corpus di poesie escludendo quelle giudicate troppo scandalose. Quanto a Verlaine, la sua tomba si trova al cimitero di Batignolles, con sopra qualche polveroso fiore di plastica, a breve distanza dal périphérique, la tangenziale che racchiude la Parigi intra muros. Già l’anno scorso, il giornalista e saggista Frédéric Martel, l’editore Jean-Luc Barré e lo scrittore Angelo Rinaldi, membro dell’Accademia di Francia, si erano riproposti di fare qualcosa per quei sepolcri. Finché è spuntata l’idea: perché non trasferirli entrambi e insieme al Panthéon? Nell’appello si spiega che «Arthur Rimbaud e Paul Verlaine sono due poeti maggiori della nostra lingua. Grazie al loro genio hanno arricchito il nostro patrimonio. Sono pure due simboli della diversità. Dovettero subire l’omofobia implacabile della loro epoca».

Hanno firmato l’appello, reso noto mercoledì, personalità tra le più varie, anche politicamente parlando. Si va dalla scrittrice Annie Ernaux e dal sociologo Edgar Morin al filosofo Michel Onfray e agli ex ministri della Cultura Jack Lang e Frédéric Mitterrand. Colei che oggi occupa tale poltrona, Roselyne Bachelot, è decisamente favorevole («I versi di Rimbaud – ha ricordato – mi accompagnano in ogni momento della giornata»). Da sottolineare: la Bachelot, donna che proviene dai ranghi della destra tradizionale, fu colei che nel lontano 7 novembre 1998 pronunciò un discorso di fuoco  all’Assemblea nazionale a favore dei Pacs, le unioni civili che la Francia stava autorizzando, per tutti e soprattutto per gli omosessuali. I suoi compagni di partito (gollisti) la criticarono ferocemente. Da allora la Bachelot è a Parigi un’insoplita (al di là delle frontiere politiche) del pianeta Lgbt.

Secondo Barré, uno dei promotori dell’appello, intervistato dal settimanale Le Point, «far entrare nel Panthéon una prima coppia gay sarebbe per Macron un gesto risolutamente moderno». E Martel ha sottolineato: «Se  Verlaine fu condannato pesantemente per aver sparato sull’amante, non fu solo perché aveva partecipato alla Comune di Parigi, ma anche per la sua omosessualità. Quanto a Rimbaud, la maggior parte dei biografi o ammiratori hanno sempre cercato di negarla o almeno di sottovalutarla. In realtà sono i nostri Oscar Wilde».

L’iniziativa, comunque, comincia a provocare qualche polemica. Nell’edizione di giovedì del Figaro, Etienne de Montety, responsabile delle pagine letterarie del quotidiano, scrive che «Rimbaud e Verlaine erano troppo liberi per finire al Panthéon». «Non rifiliamo al povero Lelian e al suo sfrontato complice un affronto postumo, non insultiamo il loro desiderio disperato d’indipendenza». Critiche stanno arrivando da altri, sullo stesso tono: non inseriamoli nelle gabbie di oggi. A proposito: Pauvre Lelian era l’anagramma di Paul Verlaine.

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