Capita che i restauratori si trovino davanti a colori che sbiadiscono progressivamente, pitture che colano dopo anni che il dipinto è stato terminato, patine di sporco che offuscano le brillantezze originali dei colori. C’è un’emergenza che riguarda l’arte moderna e contemporanea e i dipinti a olio in particolare: sono più esposti al degrado. Un gruppo di scienziati di vari centri di ricerca europei si è concentrato ad esaminare una settantina di opere di questo genere: dalla “Donna nuda su una poltrona rossa” di Pablo Picasso a quadri di Prunella Clough, Joan Mitchell, Ray Parker e altri, custoditi in musei importanti, dalla Tate Modern di Londra allo Stedelijk Museum di Amsterdam al Gemeentemuseum dell’Aia. Obiettivo: aggiornare le tecniche di restauro, trovare le cure per tamponare le ferite degli anni che passano. “Quello che ci preoccupa – spiega Ilaria Bonaduce, del dipartimento di Chimica industriale dell’università di Pisa che ha lavorato alla ricerca coordinata dall’università di Amsterdam – è la sensibilità all’acqua e ai solventi in generale di certe pitture usate nei quadri a olio del Novecento e di fine Ottocento”.
Questa sensibilità all’acqua è un grosso problema dal momento che mette fuori gioco le tecniche di pulitura tradizionali e rende complesso intervenire sulla superficie di questi dipinti. “Il male oscuro che li colpisce è legato all’evoluzione delle tecniche pittoriche in combinazione con altri fattori. La scelta, per esempio, di molti artisti di non stendere vernici sopra i dipinti per poter giocare sulle opacità o l’assenza di una cornice che protegga il dipinto dal deposito dello sporco”, nota la ricercatrice. Quello che emerge è che l’uso di pitture industriali, negli anni in cui pure la chimica faceva grandi passi avanti, e in qualche caso l’impiego da parte degli artisti di materiali scadenti, ha reso quelle opere più esposte all’instabilità.
Dallo studio, “Cleaning of modern paints”, emerge che i problemi di conservazione dei dipinti a olio contemporanei sarebbero legati sopratutto all’impiego da parte degli artisti delle pitture commerciali, in tubetto e più economiche, ma altamente instabili, che i pittori cominciano a utilizzare da fine Ottocento. Colori prodotti industrialmente e non più frutto dell’abilità di pittori e artigiani che mescolavano i pigmenti nei loro studi, anche col rischio di esporsi a componenti tossiche come il piombo.
In certi casi gli artisti impiegano prodotti di scarsa qualità e il tempo mette a nudo le conseguenze. “Una di queste – riprende Ilaria Bonaduce che ha lavorato alla comprensione dei meccanismi molecolari alla base di questi fenomeni di degrado assieme a un gruppo di chimici pisani – è che i rischi associati ai trattamenti attuali di pulizia superficiale a olio sono molto alti e potrebbero condurre a danni irreversibili delle opere”.
Ma se i sistemi comuni utilizzati per la rimozione dello sporco dalla superficie sono fuori gioco perché utilizzano l’acqua, come si può intervenire? I ricercatori di questo team europeo (finanziati in parte dai vari ministeri dell’Istruzione e della Ricerca, fra cui il Miur) hanno individuato procedure nuove di pulitura con l’impiego di gel, microemulsioni e acque modificate nel pH e nella forza ionica, in modo da ridurre al minimo i rischi. Tuttavia il paradosso resta: è più facile proteggere un quadro antico rispetto a un olio moderno.