Amodio: “È questa la deriva populista, si rinnega il garantismo del nostro sistema”.

 

Il penalista: qui non è più il magistrato a dettare la pena, ma sono gli istinti della gente:
Il professor Ennio Amodio, uno dei più importanti penalisti italiani, emerito di procedura penale a Milano e tra gli estensori del codice processuale del 1989, è preoccupatissimo. Al punto di aver deciso di raccogliere in un libro, di prossima pubblicazione, il compendio del credo giustizialista gialloverde. Che considera una regressione culturale senza precedenti. È una deriva giustizialista, professore? «C’è qualcosa di più. Il coacervo di umori, sentori e pretese di cambiamento che esprimono il credo politico del nuovo governo in tema di giustizia penale è qualcosa di diverso da un’ideologia. È un richiamo a intuizioni e sfoghi che scaturiscono dalla paura della criminalità». Una giustizia «istintiva»? «In realtà, siamo di fronte a istinti che mirano a dare delle risposte puramente emotive e s’ispirano sostanzialmente alla pratica della vendetta tribale». La legittima difesa. È davvero una legge prioritaria? «Niente affatto. La legittima difesa è l’emblema della giustizia populista. Si vorrebbe dar vita alla licenza di colpire a morte chiunque osi profanare un domicilio per commettere un furto. Non importa se il ladro stia fuggendo o non abbai armi. È un fai da te punitivo. Tutto ciò non ha evidentemente nulla a che vedere con la giustizia, così come modernamente intesa. La “pena di morte domiciliare” di conio leghista risulta piuttosto apparentata con un altro rimedio punitivo ancestrale: il linciaggio». E poi c’è questa nuovo disegno di legge per la riscrittura del reato di tortura. «È veramente incredibile: si vuole creare uno spazio di immunità alla polizia che usi metodi vessatori, volendo ratificare modalità di comportamento che secondo tutto il movimento garantista internazionale dovrebbero essere invece decisamente stroncate». Pene più dure, scarcerazioni ridotte, manette agli immigrati. Ma verso che Stato stiamo andando? «C’è da pensare che proseguendo su questa strada si arrivi a concepire una giustizia privata, affidata alle mani delle vittime e sottratta a qualsiasi controllo delle autorità. Come se si intendesse regredire a una forma di società nella quale contano soltanto le sofferenze delle vittime e queste debbono tradursi immediatamente in pene applicate in modo arbitrario e frettoloso, nei confronti del primo che venga arrestato dalla polizia». È il sentimento popolare, dicono… «Sì, appunto. Ci si schiera su posizioni che comportano l’erosione dei poteri della magistratura, tanto è il sentimento popolare che detta in che modo deve essere punita una persona. E dunque l’avversione a ogni riduzione delle pene. Deve sempre essere inflitta la massima sofferenza al colpevole e quindi va evitato l’intervento della magistratura. È lo stravolgimento dei principi del nostro sistema. La deriva populista rinnega la cultura del garantismo su cui è edificato il processo penale moderno. Si può chiedere al presidente Conte di alzare la sua bacchetta di giurista sui dioscuri che lo affiancano per invitarli a rileggere Beccaria o, almeno, le norme della nostra Costituzione che precludono ogni sbandamento verso forme di giustizia a furor di popolo?».
La Stampa.
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