Mps, il passivo si allarga serve aumento da 2 miliardi
Giovedì cda su conti e accantonamenti per i rischi legali dopo la sentenza Profumo-Viola Il Tesoro cerca ancora un compratore ma da Unicredit non arrivano segnali di disgelo
MILANO — Il Monte dei Paschi apre il cantiere del suo secondo aumento di capitale pubblico. Fonti finanziarie non commentate dalla banca stimano un fabbisogno di oltre 2 miliardi di euro, per far sì che le perdite in arrivo non portino il patrimonio al disotto del minimo stabilito dalla vigilanza Bce. E continuare – ma solo dalla prossima primavera – la ricerca di un compratore che il Tesoro è impegnato con l’Europa a trovare entro l’aprile 2022. Nel luglio 2017 via XX settembre versò 5,4 miliardi per diventare azionista al 68,5%, e due anni prima aveva ricevuto in azioni Mps altri 243 milioni di interessi su un bond.
Il cda riunito ieri serviva a preparare il terreno alla riunione, più importante, di giovedì, in cui andranno approvati i numeri della contabilità a fine settembre. Tra questi, ci sarà probabilmente anche un rimpinguato fondo rischi legali, come risposta alla condanna a sei anni a testa per l’ex presidente Alessandro Profumo e l’ex ad Fabrizio Viola nel processo sulla contabilizzazione dei derivati senesi come titoli di Stato. La sentenza, seppur di primo grado, ha fatto diventare da formalmente “possibili” a “probabili” le richieste danni sui bilanci redatti dalla terzultima gestione, e pari a circa 2,2 miliardi. Le stime dei consulenti della banca, giunte in consiglio il 29 ottobre, avrebbero proposto maggiori appostamenti per 416 milioni di euro. Se questa cifra fosse aggiunta ai circa 700 milioni di impatto per la cessione di 8,1 miliardi di crediti deteriorati ad Amco (da completare entro dicembre), le perdite della gestione, che già nella semestrale erano di 1,09 miliardi, e i nuovi gravami regolatori sul patrimonio da gennaio, ce n’è abbastanza perché la banca inizi il 2021 con un patrimonio inferiore all’indicazione “Srep” data dalla Bce per il 2020, e pari all’11%. Per questo ieri i consiglieri più in continuità con il Tesoro, che fanno perno sulla presidente Patrizia Grieco e sono in maggioranza di sette su 11 nell’organo eletto a maggio, sembrano attendere indicazioni da Roma: per accantonare i nuovi 416 milioni a fronte di un nuovo assegno dall’azionista. Ma non è detto che un’indicazione simile arrivi, poiché la linea del Tesoro, ribadita dal ministro Roberto Gualtieri nel fine settimana, è «sostenere e rafforzare la banca al momento in difficoltà con un percorso di rilancio definito, e che passerà anche per una operazione di fusione con un partner sufficientemente forte da consentirle un futuro». Piuttosto diversa, e poco incline, anche per ragioni politiche, a dare altri due miliardi al Monte solo per coprire le varie perdite 2020. Tuttavia, vista la situazione contabile della banca, il proibitivo contesto economico e l’ostilità al progetto dei M5s che hanno da poco indicato l’ad Guido Bastianini, è poco probabile che Mps trovi marito nel breve.
Nel fine settimana sono tornate le voci su Unicredit, cui anche tramite l’advisor Mediobanca il Tesoro propone il dossier senese da luglio. E malgrado la smentita del Tesoro, sabato, di avere inoltrato «un’offerta formale» alla seconda banca italiana, ieri in Borsa i due titoli erano forti: +8,32% Mps, +3,3% Unicredit. Ma tra gli operatori le spiegazioni del movimento non paiono i “fiori d’arancio”. L’azione Mps, tra le più volatili causa scarso flottante, arriva da gravi ribassi, e ha scambiato per meno di 10 milioni di euro, con tracce di acquisti attivati dai venditori allo scoperto nel timore che chi ha prestato loro le azioni le chieda indietro per ricapitalizzare. Per Unicredit si tratterebbe invece di rimbalzo, in linea con l’indice Stoxx bancario (+2,7%). Domani l’ad Jean Pierre Mustier fornirà un’informativa ai suoi consiglieri (tra cui il presidente in pectore Pier Carlo Padoan): ma la sensazione è che la sua linea, nel presentare giovedì i conti, sarà ancora «niente fusioni» e «meglio puntare sulla nostra banca con dividendi e riacquisti».
Mps, la Fondazione di nuovo socio? De Mossi: «Una strada da tentare»
Siena, le spinte perché nella banca rientri Palazzo Sansedoni, che però frena: «Suggestioni»
Silvia Ognibene
siena Riportare la Fondazione Monte dei Paschi fra i soci della banca, possibilmente fra quelli che contano. L’idea piace tanto a una parte della città di Siena e al suo sindaco, Luigi De Mossi, civico di centrodestra, e anche ai sindacati. Se messa in pratica risolverebbe più di un problema alla banca stessa e al suo azionista di maggioranza, quel ministero del Tesoro che però è anche il soggetto chiamato a vigilare sulle fondazioni bancarie (anche per evitare che facciano qualche passo falso e finiscano nei guai, come accadde proprio alla fondazione senese neppure troppo tempo addietro). È seducente l’idea che la Fondazione — e per suo indiretto tramite la città — torni a contare qualcosa nella «sua» banca, ma proprio da Banchi di Sotto avvertono che siamo alle mere ipotesi, per quanto suggestive e degne di essere valutate.
Il problema all’ordine del giorno è la richiesta di risarcimento danni che la Fondazione Mps ha avanzato nei confronti della banca per una cifra monstre di circa 3,8 miliardi di euro e che ha portato il fardello complessivo delle richieste danni dei vari contenziosi della banca a oltre 10 miliardi: sistemata la questione dei crediti deteriorati, adesso la banca dovrebbe riuscire a disinnescare anche questa miccia per poter percorrere più agevolmente il sentiero che la dovrà portare a trovare un partner. E se la Fondazione accettasse una transazione trasformando il «petitum» (o buona parte di esso) in azioni, darebbe una generosa mano.
«La richiesta di risarcimento avanzata dalla Fondazione è doverosa per la città — dice il sindaco De Mossi — La Fondazione è un ente autonomo, ma farla sedere al tavolo della trattativa con la banca, insieme al Comune inteso come comunità cittadina, è una strada da tentare: una volta seduti ci sono diverse opzioni per il risarcimento, denaro o azioni della banca. Se dal governo non si fanno vivi per affrontare questo tema, mi farò vivo io e lo metterò sul tavolo». Anche la Fisac Cgil prova a tirare Palazzo Sansedoni per la giacchetta e invita ad ammorbidire la posizione nei confronti della banca, riconsiderando l’ammontare del contenzioso: «Occorre uno sforzo anche dalle istituzioni locali per alleggerire i fardelli del passato», ha notato il neo segretario generale della Fisac Cgil Nino Baseotto. Cancellare la richiesta danni? «Il verbo cancellare non riscuoterebbe un grande successo ma insistere su un contenzioso di quelle dimensioni non sarebbe normale e andrebbe ridotto», perché questo consentirebbe «al Monte dei Paschi prospettive migliori nella ricerca di una partnership che ne salvaguardi l’occupazione, il nome, e la rete degli sportelli».
Ma la Fondazione frena e, pur facendo sapere che è un’ipotesi degna di essere presa in considerazione e sulla quale si può pensare, nota che è difficile accettarla agendo secondo razionalità. «Ad oggi è solo una suggestione della politica e un auspicio del territorio, ma noi dobbiamo agire secondo le disposizioni di legge e tutelare la Fondazione — fanno sapere da Palazzo Sansedoni — In primo luogo andrebbe definito il “quantum” e poi eventualmente capito come trasformarlo in azioni». Se anche tutto questo fosse possibile, ragionano in Banchi di Sotto, «c’è da valutare la qualità dell’asset: Mps non avrà redditività né dividendi per i prossimi anni; è ragionevole ipotizzare che avrà bisogno di un aumento di capitale e va considerato che una piccola quota di capitale si diluirebbe subito in caso di fusione. Insomma, un bagno di sangue. E noi abbiamo già dato».
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