di Massimo Gramellini
Il cordiale abbraccio con cui l’ex sindaco Pisapia ha salutato la sottosegretaria Boschi alla Festa dell’Unità di Milano sta provocando uno psicodramma nella sinistra, a occhio e croce il trecentoventiquattresimo della sua storia recente. A irritare i fuoriusciti del Pd che si abbeverano al verbo della ditta D’Alema-Bersani non è tanto il destino assurdo di una festa che continua a chiamarsi come un giornale che non esiste più. E nemmeno, a ben guardare, l’abbraccio in sé. È la sua modalità. Troppo plateale, allegro, vitale. Pare di capire che Pisapia avrebbe dovuto abbracciare la esponente del Giglio Magico volgendo la faccia dall’altra parte, o almeno riservandole la stessa smorfia di disgusto con cui Letta consegnò la campanella di Palazzo Chigi all’usurpatore Renzi.Nel galateo dei duri e delle pure, la gentilezza si riserva agli alleati. Ma i fuoriusciti, a differenza di Pisapia, non vogliono allearsi con il Pd. Vogliono tornare ad abitarci, dopo averne cacciato l’invasore. Disposti nel frattempo a venire a patti con il diavolo grillino, pur di non stringerne con quello toscano. Renzi ha fatto di tutto per attirare l’odio altrui. Ultimamente anche un libro che, anziché un manifesto sul futuro, sembra un regolamento di conti con il passato. Però la parabola del mite pontiere Pisapia trasformato in potenziale traditore è la conferma che una certa sinistra di tradizione comunista considera l’avversario politico un criminale e suo fiancheggiatore chiunque si ostini a trattarlo da essere umano.
- Martedì 25 Luglio, 2017
- CORRIERE DELLA SERA