L’Italia vince gli Europei, gli italiani scendono in piazza e cantano: Il cielo è sempre più blu. Se cantano quella canzone allora non han capito nulla, ma fa lo stesso – è la gioia della festa, non stiamo a sottilizzare. Una pubblicità di supermercati, tutta pregna di ottimismo e quindi di invito all’acquisto, usa però la stessa canzone: per cui anche alla Lidl Il cielo è sempre più blu. Qui magari qualcuno del marketing avrà pure capito, ma giustamente se ne sarà fregato. Ormai quella canzone rappresenta per molti la quintessenza della gioia e della fiducia nell’oggi e nel domani, per cui perché non servirsene?
E sì che Rino Gaetano aveva scritto il contrario, perché quella era una clamorosa presa per il culo dell’ottimismo cieco che, nell’Italia del 1975, non poteva che suonare falso. Ma è comunque un pezzo che ha conservato una certa freschezza, al punto da essere ancora saccheggiato. Tanto sentono solo il ritornello (lo sfottò!) e saltano a piè pari tutto il resto: Chi vive in baracca, chi suda il salario, chi ha scarsa memoria, chi ruba, chi lotta, chi ha fatto la spia… E se il ritornello è allegro, è solo perché sfotte l’irrazionale fiducia nel fatto che andrà tutto bene. Ma quelli che cantano urlando che Il cielo è sempre più blu intendono che del domani vi è certezza: sarà tutto bellissimo. Grottesco, ma è così.
Il fatto è che pochi fanno attenzione alle parole. Non è molto originale dirlo, ma va bene ripeterlo. Le parole sono merce abusata, e lo spreco che se ne fa è superiore a qualunque spreco di acqua o energie naturali. Vengono soprattutto sprecate da chi non sa che farsene o come utilizzarle. A volte sono gli scrittori – molto spesso sono i lettori.
Per cui aveva torto (oppure peccava di ottimismo) perfino un’osservatrice caustica come Fran Lebowitz, quando prendeva in giro le magliette con la scritta, con il messaggio: Se la gente non vuole ascoltare cosa avete da dire voi, cosa vi fa pensare che lo vogliano sentire dalla vostra felpa? Perché in realtà la gente quasi sempre neanche sa che cosa porta scritto addosso. E se lo sa, non lo capisce. È la stessa storia di quelli che si fanno tatuare ideogrammi cinesi o giapponesi: i tatuati son convinti di essersi scritti addosso guerreschi messaggi di amore onore forza e morte (e, ovviamente, resilienza) – io confido che tatuatori dotati di buon umorismo li abbiano marchiati con un bel Sono il babbione dei due mondi e me lo scrivo pure addosso.
(Oppure è la stessa storia di quando Vasco Rossi cantava Delusa contro le ragazze di Non è la RAI, le quali allora ballavano ammiccanti Delusa a Non è la RAI. Perché Vasco Rossi pensava di aver scritto chissà che presa per il culo, mentre Boncompagni – molto più lungimirante – sapeva benissimo che quel supposto sfottò poteva essere usato a suo favore. Tanto, la gente non ascolta nemmeno. Basta la musica e basta ballare – le parole, se anche dicono il contrario, chi se ne fotte. Chi è che le ascolta e le pesa?).
E adesso, la narcisata. Personalmente, ho scritto per questa testata una ventina di articoli. Condivido dunque con altri autori l’immenso privilegio di potermi divertire leggendo i commenti a quel che ho scritto. Critiche invariabilmente schizofreniche, cose da elenco dell’Avvelenata di Guccini (io tutto io niente io stronzo io ubriacone, io poeta io buffone, io anarchico, io fascista…). Talvolta, per lo stesso scritto, è stato bellissimo leggere che risultava (al contempo) fascista, comunista, clericale e socialista. Oltre a varie altre cose. Tutto ciò, naturalmente, mi è dispiaciuto moltissimo: perché nessuno ha scritto delle mie influenze monarchiche, comunarde, uomoqualunquiste? Del mio evidente decabrismo! Ci avrei tenuto moltissimo: non c’entrando nulla coi fascisti o i comunisti o i clericali, potevano almeno dire che ero un decabrista. Non c’entro niente nemmeno con loro: ma vuoi mettere la soddisfazione personale di passare per decabrista nell’anno del Signore 2021?
Essere incompresi, di per sé, non sarebbe un problema. Per qualcuno, nei secoli dei secoli, può essere stato un dramma, che è una cosa tutta diversa. Da Poe a Morselli, da Van Gogh a Schopenhauer a Bach. Perfino Tenco, toh: la Storia è lastricata dalle pietre di quelli su cui nessuno è inciampato nel momento giusto, ma solo più tardi (o magari mai – quanti saranno, in realtà, i mai che pure avevano la stessa forza?). Adesso, però, il rischio non è più solo quello di rimanere incompresi, e magari riscoperti, come si dice. Qui, tra Cultura del cancellino, metoo e nuove leggi scritte in modo tale per cui – altro che storie – potrebbero certamente essere interpretate come utili per colpire quelli che potrebbero aver commesso un reato di opinione, essere incompresi, o compresi male, può diventare un vero problema. Se ospitato in un’aula di giustizia, poi, anche costoso. Perché l’abbiamo visto: si legge male e si capisce quel che si vuole capire – si capisce peggio.
Inutile ricorrere ai grandi nomi per uscire indenni. Per chi si trovi in stato di necessità di scrivere di certi argomenti, una strategia potrebbe essere quella di uscirne, davvero, all’italiana. Bassi bassi. Alla Zalone. Per cui alla fine tutti ridono – ma nessuno è certo di capire se ci è o ci fa. E quindi può tranquillamente cantare che Gli uomini sessuali sono gente tali e quali come noi / noi normali. E chi ci vuole vedere quello che sfotte le checche, ride. E chi ci vuole vedere quello che sfotte quelli che sfottono le checche, ride pure lui. Lasciando in fondo irrisolto il dubbio se ci è o ci fa. Per me, l’uomo è tutt’altro che scemo – per cui ci è e ci fa. E si diverte pure parecchio, in quel suo stare in cima al crinale della vera ambiguità. Comunque inattaccabile. Perfino in tribunale. Certo, bisogna esserne capaci.
(Zalone non è il primo, non sarà l’ultimo. L’han fatto anche gli Squallor. Gli Skiantos – anche se loro si premuravano di precisare inutilmente che Calpesta il paralitico, in realtà, contro tutti i falsi pietismi, era da intendersi in senso opposto a quello letterale. Perfino gli Elii, ai loro tempi. Chi potrebbe adesso cantare liberamente degli stilisti che C’è un cartello di ricchioni che ha deciso che / l’anno scorso andava il rosso e quest’anno il blè? Quelli potevano farlo perché avevano un curriculum talmente immacolato ed erano talmente bravi che potevano dire e fare tutto quello che volevano. E per fortuna).
A dirla tutta, a me questi argomenti neanche interessano granché. Sono mode, ideologie – e quindi bisognerebbe cercare di starne lontani. Le ideologie passano e datano le cose in modo irrimediabile. Certo, non mi piace quando la Legge va a cadere in ambiti che per me non sono quelli suoi propri, prevedendo limiti rilevanti penalmente (molto più che diritti) di cui non si sentiva tutta questa necessità. Per me contano di più quelli che magari non hanno necessità di scrivere di queste cose, ma sentono – a torto o a ragione – di dover scrivere. Per loro, rimangono vive altre domande. Per chi scrivere, se tanto non si legge affatto o si legge male? (Per chi parlare, se tanto non si ascolta o si ascolta male?). Be’, intanto chi ci crede davvero scrive soprattutto per se stesso – e così ha sempre pubblico da vendere. E poi, comunque, in fondo lo sappiamo che da qualche parte sopravvive un litigioso villaggetto gallico che resiste ora e sempre agli invasori romani e che, per quanto piccolo, può comprendere.
(Certo, è difficile – ma il cielo è sempre più su).