di Salvo Palazzolo
PALERMO — In un armadio blindato del palazzo di giustizia ci sono 164 Dvd che custodiscono una voce cavernosa, ottusa, minacciosa. Una voce che racconta di omicidi e stragi che hanno insanguinato la Sicilia negli anni Ottanta e Novanta. Ma questa non è solo una storia siciliana. La voce registrata in quei file parla dei segreti e delle complicità della mafia nel cuore dello Stato. E di talpe che avrebbero favorito le stragi Falcone e Borsellino. Parla anche dei rapporti di alcuni mafiosi con uomini dei Servizi. Quella voce sussurra soprattutto un movente segreto per la strage Falcone.
Ventinove anni dopo l’attentato di Capaci, abbiamo ripercorso i 164 file. Non contengono le parole di un pentito, ma quelle di un irriducibile: Salvatore Riina, il contadino semianalfabeta di Corleone che negli anni Ottanta divenne il capo di una delle più potenti organizzazioni criminali del mondo, Cosa nostra. È morto la notte del 17 novembre 2017, nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma: aveva 87 anni, era in carcere dal 15 gennaio 1993, ma non aveva mai smesso di essere il capo dei capi. Anche se non aveva più eserciti di killer a disposizione. Il potere di Salvatore Riina detto u curtu è rimasto nei segreti inconfessabili che custodiva: negli ultimi anni lanciava messaggi sibillini. In ogni occasione che poteva. Cercava di ricattare ancora. Un giorno, mentre lo stavano portando al processo “Trattativa” disse a due agenti: «Io non cercavo nessuno, erano loro che cercavano me». “Loro”, gli uomini dello Stato. Eppure, in aula non aveva mai voluto dire una sola parola. Quella strana voglia di esternazioni incuriosì i pm Di Matteo, Tartaglia, Del Bene e Teresi, che decisero di intercettarlo durante gli incontri con il compagno dell’ora d’aria, Alberto Lorusso, boss della Sacra Corona Unita. Parlavano tanto nel carcere milanese di Opera. Così sono nati i Riina file: sono le intercettazioni, anche video, fatte dalla Dia di Palermo fra il 4 agosto e il 18 novembre 2013. Le trascrizioni di quei dialoghi sono in 1350 pagine. Le abbiamo ripercorse una per una. E sono riemersi alcuni spunti interessanti.
Il 6 agosto, Riina parla dell’attentato a Falcone. Si vanta: «Abbiamo incominciato a sorvegliare, andare e venire da lì, aeroporto, cose… abbiamo provato a tinghitè (in abbondanza — ndr ), siamo andati a Roma, non ci andava nessuno…. Non è a Palermo… fammi sapere quando arriva… in questi giorni qua». L’intercettazione è disturbata, alcune parole non si riescono a comprendere. «Andammo a tentoni — prosegue il padrino — fammi sapere quando prende l’aereo». Chi fece sapere al commando di Riina quando Falcone avrebbe preso all’aeroporto romano di Ciampino il volo di Stato per Palermo? Nessun pentito ha saputo dirlo.
A sentire il capo dei capi all’ora d’aria, i mafiosi avrebbero potuto contare anche su un’altra talpa eccellente, per l’attentato a Borsellino. «Poi subito pronti, all’erta per la seconda… 57 giorni dopo, la notizia l’hanno trovata là dentro, domenica deve andare da sua madre». Dove l’avevano “trovata” la notizia?
Riina ribadisce di non essere stato il pupo di nessuno. «Io ho fatto sempre l’uomo d’onore, la persona seria» (4 settembre). Lo sottolinea soprattutto per l’esecuzione della strage Borsellino. Rivendica l’attentato, ma prende le distanze da quello che accadde poco dopo. «I servizi segreti gliel’hanno presa l’agenda rossa» (4 ottobre). L’agenda dove Borsellino avrebbe forse annotato le sue scoperte sulla trattativa fra pezzi dello Stato e i vertici della mafia. Riina prende le distanze, ma poi getta un’ombra sui suoi più stretti collaboratori, i Madonia: «Erano confidenti dei servizi segreti… Non è che erano spioni, erano in contatto con uno dei servizi».
Il 6 agosto dice: «C’è stata guerra e pace… Salvatore Riina l’autore». Poi, all’improvviso, cita una frase di Salvatore Cancemi, un tempo componente della Cupola: «Dice: “Che dobbiamo inventare che la morte di Falcone….” Gli ho detto: “Che ci devi inventare?”. Lui ha detto: “Se lo sanno, la cosa è finita, non dobbiamo discutere, non c’è niente da discutere” ». Quale segreto sul movente della strage Falcone doveva essere nascosto? Cancemi è stato un collaboratore di giustizia, ma non ne ha mai parlato. A cosa si riferiva Riina? Quelle intercettazioni vanno riascoltate ancora.