Dove porta la crisi di Forza Italia

di Stefano Folli
Come il colpo di pistola di Sarajevo, il voltafaccia di Berlusconi sul Mes rischia di avere conseguenze incontrollabili sulla stabilità del governo Conte. Nulla è compromesso finora, ma si tratta senza dubbio del passaggio più critico per il presidente del Consiglio e la sua maggioranza, che al Senato è esigua.
Nell’incertezza di queste ore, esiste anche uno scenario favorevole al premier. Lo si può riassumere così: Forza Italia si divide sull’onda di una ribellione al leader carismatico di portata mai vista in un quarto di secolo.
Il 9 dicembre i dissidenti votano a favore del Mes, con ciò decretando la fine della creatura politica di Berlusconi. Al tempo stesso la rivolta nei Cinque Stelle – 17 senatori e 52 deputati dichiaratisi contrari alla riforma – in parte rientra, essendo provocata da ragioni emotive più che da un calcolo di opportunità. E infatti già ora alcuni dei ribelli affermano di non voler provocare il collasso della coalizione. Alla fine, nel gioco del dare e avere, il governo ottiene il via libera delle Camere, dentro uno scenario in cui le carte sono state rimescolate. Conte tira un sospiro di sollievo e rimette insieme i pezzi vecchi e nuovi del mosaico parlamentare. La destra di Salvini e Meloni è soddisfatta perché l’equivoco Berlusconi si è comunque chiarito, mentre qualcuno rilancia il tema: al centro c’è un vuoto, occorre lavorare per colmarlo con una nuova iniziativa a supporto di Conte, forse il primo passo di un “partito del premier”.
Allo stato delle cose questa fotografia è possibile, ma non ancora probabile. La realtà dice che il cambio di passo del fondatore di Forza Italia ha avuto l’effetto di dar fuoco alle polveri nell’accampamento dei 5S. È vero che i dissidenti non sono uniti da un disegno politico alternativo all’attuale governo, ma non si sa mai dove può condurre l’ondata d’instabilità. Forse solo Berlusconi, che l’ha provocata, può arrestarla. Come? Difficile immaginare un altro voltafaccia uguale e contrario.
Peraltro l’ipotesi che prende forma ha i contorni dell’astensione. Se infatti i rappresentanti di Forza Italia si astenessero o uscissero dall’aula, il governo – soprattutto al Senato dovrebbe riuscire a salvarsi. E la riforma sarebbe approvata.
Bisogna pur considerare quali forti interessi attraversano in questo momento l’Europa – in particolare Germania e Francia – esprimendosi a favore della riforma del Mes. Sia nel caso del livello sanitario (i 37 miliardi che “non ci servono”, come dicono i 5S), sia nel secondo strumento, il cosiddetto salva-banche, la riforma prevede delle procedure per il controllo del debito eccessivo attraverso tagli, riduzione di costi della pubblica amministrazione, privatizzazioni e interventi radicali. Se non basta, potrebbe essere imposta la ristrutturazione. È un salto di qualità, diciamo così, nel rapporto tra i singoli Paesi e l’Unione. Si capisce che può essere doloroso e faticoso per un Paese come l’Italia, super-indebitato e con un sistema politico debole. Ciò significa che nei sei giorni che ci dividono dalla seduta parlamentare, si moltiplicheranno le pressioni.
Berlusconi avrà tempo per costruire il sentiero dell’astensione. Conte e Di Maio, sia pure non in sintonia tra loro, faranno lo stesso per riassorbire il dissenso del M5S. Ma il punto di fondo è che Roma arriva a un appuntamento così significativo in una condizione di grave debolezza.
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