Solo le ditte della provincia di Firenze denunciano meno ricavi per oltre 6 miliardi: lo dice uno studio dei commercialisti, che protestano contro il mancato rinvio del pagamento delle tasse. Dal 2021 boccata d’ossigeno dal Recovery Fund
di Maurizio Bologni
Più di 15,5 miliardi di euro di fatturato persi dalle imprese toscane nel primo semestre dell’anno. A questa stima nefasta, che arriva dai commercialisti, fa da controcanto la prima ipotesi sulle risorse che la Regione calcola in arrivo dal patto europeo raggiunto sul Recovery Fund: 13 miliardi nell’ipotesi migliore, 8 nella peggiore, da impegnare nei primi tre anni a partire dal 2021 e spendibili in 6 anni, pena la loro inutilizzabilità. Ai 13 miliardi se ne aggiungono 4 da altre fonti già previste e, se l’Italia aderirà, oltre 2 dal Mes. « Grande opportunità, importante è farsi trovare con progetti pronti, a cominciare da quelli del patto per lo sviluppo, per le infrastrutture indicate come priorità dal governo, per la sanità » , dicevano dalla Regione, dove i calcoli dell’ufficio di Bruxelles si incrociavano con quelli dell’Irpet non sempre con risultati coincidenti.
Tornando invece ai numeri dei commercialisti, soltanto le aziende della provincia di Firenze nel primo semestre lamenterebbero ricavi inferiori di oltre 6 miliardi ( 6.093.755 milioni di euro per la precisione) rispetto all’anno prima, retrocedendo da 26.900.499 milioni di euro a 20.806.734 milioni di euro, pari ad un — 22,7%. Sono queste le simulazioni contenute nell’annuale Osservatorio sui bilanci delle srl della Fondazione nazionale dei commercialisti e del Consiglio dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, quest’anno puntato sui bilanci 2018 ma che — viste le circostanze drammatiche — si è spinto sul terreno delle stime sul 2020. È un lavoro corposo che racconta le difficoltà delle aziende, pubblicato il 9 luglio, e quindi in tempi non sospetti rispetto alle polemiche che infiammano queste ore per le scadenze fiscali che attendono le imprese e contro le quali si schierano gli stessi commercialisti.
La ricerca dell’Osservatorio elabora — e proietta in una simulazione sui fatturati delle aziende — i dati di bilancio delle società di capitali estratti dalla banca data Aida, numeri e stime sul Pil soprattutto di Istat, del governo, dell’Ocse e del Fondo monetario internazionale. Ebbene il quadro che ne esce della Toscana conferma previsioni pessime. Nella top five delle province italiane dove le aziende dovrebbero subire i maggiori cali percentuali di fatturato, ben due sono toscane. Dopo Potenza, al secondo posto nazionale c’è Arezzo con un — 27,2% per un valore assoluto di 2,13 miliardi di ricavi persi nel semestre dalle aziende rispetto all’anno prima. Al terzo e al quarto posto rispettivamente Fermo e Chieti, ma al quinto posto della black list ecco di nuovo una provincia toscana: è Prato, dove le imprese nei primi sei mesi di quest’anno avrebbero perso più di un quarto dei fatturati dell’anno prima ( il 25,3%) con un calo in valore assoluto di oltre 1,17 miliardi di euro.
È evidente che sulla performance negativa delle società di Arezzo e Prato pesa la vocazione manifatturiera dei due territori, uno sede del distretto dei gioielli in oro e l’altro della filiera tessile- abbigliamento, che più della contrazione dei consumi interni hanno sofferto il lockdown delle attività produttive e la chiusura dei mercati internazionali. Ma è ovviamente in calo a doppia cifra percentuale il business delle aziende in tutte le altre province della regione: secondo la Fondazione dei commercialisti, nel semestre le imprese di Pistoia perdono 818 milioni di fatturato (-22,5%), quelle di Livorno 723,5 milioni (-19%), quelle di Pisa quasi 1,5 miliardi (- 24,2%), quelle di Siena 959 milioni (-17,8%), di Grosseto 271 milioni (- 20,3%), quelle di Massa Carrara quasi 427 milioni (-22,8%) e di Lucca oltre 1,5 miliardi (-21%). «Si tratta — precisa l’Osservatorio — di simulazioni e non di vere e proprie stime », realizzate valutando «cosa succede al fatturato aggregato semestrale delle società di capitali sulla base di una serie di ipotesi riguardanti una determinata catena di effetti, come calo di domanda, blocco offerta per sospensione attività, prosecuzione in smart working, riaperture graduali, mancate riaperture, eccetera». Ma è chiaro che i numeri reali si discosteranno poco.