Fabio Viale corpo a corpo con il marmo

LA MOSTRA
di Gaia Rau Un corpo a corpo col marmo di michelangiolesca memoria. È espressione di una sfida col materiale che si fa al tempo stesso fisica, simbolica, concettuale il lavoro di Fabio Viale, artista piemontese classe 1975, protagonista fino al 16 maggio da Poggiali di una personale, Acqua alta — High Tade, dislocata nelle due sedi fiorentine della galleria, in via della Scala e nella vicina via Benedetta. A occupare il primo spazio è Bricole, riproposizione dell’omonima installazione realizzata per l’ultima Biennale e ospitata nel padiglione Venezia curato da Ferzan Özpetek: protagonisti tredici monoliti in marmo che replicano a misura reale quei pali in legno di rovere o di castagno alti tre metri e oltre, usati come guida per la navigazione, che costituiscono un elemento iconico del paesaggio lagunare. Presentate ai Giardini in un allestimento che riproduceva il loro contesto naturale, immerse in un tappeto d’acqua bassa e accostate a teli di plastica opaca a suggerire l’effetto della nebbia, le sculture di Viale vengono qui spogliate di ogni apparato scenografico e disposte in ambienti candidi e scevri, a suggerire una foresta popolata da creature totemiche, a tratti quasi antropomorfe, nella quale il visitatore è invitato ad addentrarsi come in un rito di iniziazione. Una soluzione che esalta in tutta la sua spettacolarità l’intervento alchemico operato dall’artista sul marmo, trasformato in legno con un effetto iperrealistico che nulla lascia della candida, splendente monumentalità della pietra: ogni dettaglio, dalle venature ricavate minuziosamente alle macchie di vernice verdognola, evoca piuttosto il deperimento, l’usura dell’acqua, l’effetto implacabile del tempo e di un clima sempre meno controllabile di cui proprio Venezia è stata vittima recente. «L’esattezza — scrive Sergio Risaliti nel catalogo che accompagna l’esposizione — raggela il godimento del manufatto, la meraviglia del saper fare. La scultura è muta, minimale. Eppure osservando la superficie, scivolando sulla pelle del palo, possiamo notare come l’artificio supera la natura, come la copia artistica vinca l’oggetto reale ».
Non meno d’impatto è l’installazione di via Benedetta, dove Viale ha letteralmente rovesciato 18 tonnellate di detriti ricostruendo un ” ravaneto”, e cioè lo strapiombo in cui vengono gettati gli scarti dell’estrazione in cava. Il risultato è un’informe cascata di pietrisco e schegge nella quale si stagliano dettagli di sculture preesistenti ridotte in pezzi dalla caduta: il bacino di una fontana classicheggiante, il muso di un cane da guardia, i piedi e i volti, deformati dall’impatto, di una riproduzione delle Tre Grazie. Ancora una volta, l’artista provoca con ironia l’idea di monumentalità, invitando a riflettere sul rapporto fra copia e originale, opera e scarto, presente e passato, e riconoscendo nobiltà all’oggetto solo nel momento in cui ne avviene la distruzione (ore 10-13 e 15- 19, domenica su appuntamento; 055-287748. Ingresso libero).
Nelle due sedi della Galleria Poggiali, la personale dell’artista piemontese I tredici monoliti del’ultima Biennale e la cascata di detriti Fino a maggio.
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