Aule con mono-banchi con le ruote e docenti non laureati. Per Lucia Azzolina, ministra dell’Istruzione, il futuro della scuola post-Covid è questo. Cioè? Verrebbe da domandarsi, pensando che di cose da fare per la scuola ce ne sono tante: sono decenni che aspettiamo una seria e radicale riforma della didattica.
Sono anni che le scuole cadono a pezzi, gli insegnanti mancano, alunni e genitori si lamentano, e francamente non si riesce a capire quale sia l’idea esatta dell’istruzione che ha la nostra ministra, quali siano le priorità che intende portare avanti, e quale sia la sua visione dell’insegnamento e della trasmissione delle conoscenze e della cultura. È mai possibile che, mentre a Bruxelles sono giorni che si cerca di trovare una quadra sull’ammontare complessivo del Recovery Fund – cercando di arginare le pretese dei cosiddetti “frugali” che vorrebbero venire a farci i conti in casa – Azzolina, al termine di una visita in un istituto milanese, annunci ingenti spese per comprare banchi con le ruote? «Al momento sono quelli che ci garantiscono maggiore distanziamento», ha spiegato ieri a Milano la ministra. «E che in futuro permetteranno l’avvicinamento, cioè di avere un’innovazione didattica che permetta agli studenti di lavorare in gruppo». Cioè? Continuo a chiedermi, perché questa storia dell’innovazione didattica che si realizzerebbe grazie a dei banchi con le ruote, faccio davvero fatica a capirla. Anche perché gli studenti possono tranquillamente lavorare in gruppo anche senza banchi, alcuni insegnanti illuminati, i lavori collettivi, li organizzano già da tempo, dov’è quindi l’innovazione? Per non parlare poi della folle idea di andare a cercare gli insegnanti tra coloro che ancora non sono laureati. Un’idea folle, sì, mi permetto di insistere. Io che all’università ci insegno ormai da anni, e che so bene che, di maturità e di esperienza, i nostri studenti ne hanno molta poca. E mi spiace dirlo in questo modo un po’ sgradevole e saccente, ma la ministra, forse, un giro negli Atenei avrebbe potuto farselo prima di immaginare di risolvere in questo modo il duplice problema dei pochi insegnanti e dell’assenza di lavoro per i giovani che, «se vanno all’estero, ci lamentiamo».
L’istruzione e l’educazione sono alla base di ogni società. Sono decenni che la scuola italiana arranca; sono anni che tutti (insegnanti, genitori, alunni) aspettano una riforma coraggiosa, capace non solo di adeguare il sistema italiano ai sistemi degli altri Paesi europei – dove ci si diploma un anno prima – ma anche, e soprattutto, di rimettere al centro di tutto la trasmissione del sapere e dei valori, senza inventarsi inutili stage o ridurre la cultura a una somma di competenze a geometria variabile, magari da utilizzare subito in un’azienda o in un’impresa. Abbiamo bisogno di giovani che sviluppino uno spirito critico e abbiano le basi per poi affrontare le difficoltà della vita e le insidie del mondo. Sono d’altronde gli stessi ragazzi e le stesse ragazze che, dalla propria ministra, si aspettano una visione dell’educazione che non si riduca a mono-banchi con le ruote e docenti non laureati.