«Così il vino Chianti rischia la svendita»

L’allarme di Busi, presidente del consorzio: il 40% delle aziende può finire a speculatori

Ivana Zuliani

 

Le aziende anche durante la fase acuta della pandemia non hanno mai smesso di lavorare, perché le vigne non possono essere abbandonate, e la primavera è una stagione di lavori intensi in campagna. C’è bisogno di manodopera, gli operai vanno pagati, i prodotti da usare pure. Ma le bottiglie sono ferme in cantina e non si vendono.

Così molte aziende rischiano di chiudere e di essere messe sul mercato. «Se si continua così, senza alcun sostegno, nei prossimi mesi il 40% della Toscana sarà in vendita», è l’allarme lanciato da Giovanni Busi, presidente del Consorzio Vino Chianti, in occasione dell’assemblea del Consorzio riunita ieri per la prima volta a Firenze dopo il lockdown. «Le aziende chiuderanno e diventerà il più grande boomerang mai visto prima dal punto di vista patrimoniale. E questo coinvolgerà tutti. Chiuderanno aziende grandi e piccole, blasonate o meno. Ci rimetterà tutta la regione senza alcuna possibilità di tornare indietro». Il rischio è che si facciano avanti «speculatori» e che ci rimettano non solo le singole aziende ma anche l’immagine del Paese, perché «il Chianti nel mondo è considerato “il” vino italiano».

Ogni giorno Busi riceve telefonate di imprenditori agricoli «con le lacrime agli occhi e l’acqua alla gola, nell’assoluta indifferenza delle istituzioni e del sistema bancario». «Nonostante gli annunci del governo le nostre aziende stanno cercando di superare questa crisi senza precedenti facendo affidamento esclusivamente sulle proprie forze. Noi imprenditori agricoli siamo abituati alla sofferenze e ai sacrifici, ma in un momento come questo non ci aspettavamo che la distanza fra i problemi delle imprese e le istituzioni fosse così abissale».

Le imprese vitivinicole chiedono la possibilità di accesso al credito, un taglio alla burocrazia e meno regole per facilitare la ripartenza. Dopo un 2019 in positivo (+1% a livello mondiale), e un inizio 2020 anche migliore (+2%), il Chianti ha dovuto fare i conti con il lockdown. L’export si è fermato. Le vendite a ristoranti ed enoteche pure e i ristoratori che hanno riaperto hanno già scorte in cantina, sufficienti per i clienti, ridotti rispetto a prima. Le vendite per la grande distribuzione hanno avuto una flessione ma sono proseguite. «Ma la grande distribuzione riguarda solo una cinquantina di aziende, su 3500 imprese del Consorzio» spiega Busi. Non è chiaro neanche quali fiere riprenderanno. «Non sappiamo ancora quando potremo ripartire con la nostra attività promozionale, fondamentale per l’export che fino ad oggi rappresentava il 70% del nostro mercato. È evidente che se non dovessero ripartire in Europa e nel mondo i grandi eventi legati al mondo del vino, rischiamo di veder compromesse le nostre vendite, già duramente colpite in questi mesi».

Per non aumentare il vino immagazzinato in cantina ma neanche svenderlo a prezzi ribassati, il Consorzio opterà per una riduzione del 20% della produzione e ha richiesto alla Regione di attivare la vendemmia verde (eliminazione totale dei grappoli di uva dalla pianta prima della maturazione abbattendo la resa). «Ma non abbiamo ancora avuto risposta».

 

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