1- Il libero mercato, cioè la concorrenza, è meglio del monopolio, che sottrae risorse alla collettività e ne deprime la crescita. Uno può giustamente preferire il socialismo (il mercato è basato sull’egoismo, che non è un bel sentimento). Ma se non si fa la rivoluzione socialista (“vaste programme” direbbe De Gaulle), intanto è meglio che si combattano i monopoli, pubblici e privati.
2- È una forma in cui si esprimono le preferenze dei cittadini, quindi, insieme al voto, è una manifestazione di democrazia. Le dittature invece decidono cosa produrre e consumare.
3- Ha aumentato pericolosamente le diseguaglianze all’interno dei singoli paesi, ma le ha enormemente diminuite a livello globale. Negli ultimi 50 anni, con la globalizzazione, siamo passati da 4 miliardi di abtianti, di cui 2 facevano la fame, a quasi 8, di cui meno di uno fa la fame. E questo grazie alla crescita di paesi come India e Cina, il cui reddito è cresciuto molto più rapidamente di quello dei paesi sviluppati. Il prezzo dei beni alimentari di base in termini reali è diminuito rispetto a 50 anni fa.
4 – Il libero mercato storicamente è cresciuto insieme alla democrazia. Certo con molte eccezioni, ma sembra difficile che sia proprio un caso, visto che entrambi i fenomeni si basano sulla libertà di scegliere.
5- Una fake-news (cara anche a Papa Bergoglio) fa coincidere “mercato” con “profitto”. Falso. La coincidenza è tra mercato e ricerca del profitto. Si vedono solo i profitti perché tutti quelli che falliscono o si mangano il capitale spariscono dallo schermo. Anzi, se i profitti sono eccessivi, c’è la quasi-certezza che si tratti di rendite di monopolio, cioè il contrario del libero mercato, che per definizione i profitti li riduce. Le super-multinazionali basate sul web sono uno dei problemi ricorrenti della tendenza alla formazione di monopoli, che deve essere combattuta, come lo è sempre stato. Lo “Sherman Act” del 1885 per la lotta ai monopoli nacque in America nel periodo di massimo trionfo dei monopoli, e provocò la furia dei monopolisti colpiti (all’inizio le ferrovie dei “rail barons”), ma ancora nei film degli anni ’30 del secolo successivo, finanziati dai baroni del tabacco o del petrolio, risuonavano duri attacchi all’Antitrust americana. Trump fa di tutto per diminuirne il potere, e anche da noi la Lega e alcuni gruppi industriali attaccano come “enti inutili” le Autorità di tutela della concorrenza (e questa è una buona notizia: se i monopolisti non protestano, è segno che l’azione di chi deve combatterli è troppo debole).
6- I capitalisti detestano il mercato, nonostante si affannino a dire il contrario. Lo aveva capito anche Adamo Smith, il massimo teorizzatore dei vantaggi del libero scambio. Le rendite monopolistiche sono molto meglio, costano poca fatica, e consentono anche di essere usate in parte per “comprare” i lavoratori del monopolio, che così lotteranno al fianco dei padroni, se qualche malintenzionato tentasse di aumentare la concorrenza. Lo sosteneva un signore che si chiamava Lenin.
7- Il capitalismo, anche quello monopolistico, per nostra fortuna ha bisogno dei consumatori, per poter cercar di fare profitti. Cerca sempre nuovi mercati da sfruttare. Altri regimi se ne possono fregare molto di più. Nell’Unione Sovietica (e chi scrive ha fatto in tempo a controllarlo di persona) c’erano enormi quantità di prodotti invenduti e invendibili, ma entravano lo stesso nelle statistiche della produzione.
8- Tornando alle origini, non sono solo nate insieme (e quasi nello stesso posto nel nord dell’Inghilterra) democrazia e libero mercato, ma anche la rivoluzione industriale, che ha fatto crescere in 250 anni la popolazione mondiale da 750 milioni a 8 miliardi. Secondo alcuni, è un male (cfr. la crisi ambientale). Io non sono sicuro lo sia: l’equilibrio demografico precedente che teneva bassa la crescita della popolazione, era fatto da fame, mortalità infantile e malattie.
Per concludere, ricorderei una poesia famosissima del 1800, che inizia coi versi “io me ne andavo un giorno a spigolare, quando vidi una barca in mezzo al mare…”.
“Spigolare” vuol dire raccogliere a mano i chicchi di grano caduti durante la mietitura, per macinarli e mangiare. Poetico, ma anche inquietante.