Arrestate 91 persone sull’asse Palermo-Milano. C’è anche un ex del Grande Fratello
Felice Cavallaro
PALERMO Il timore di un assalto delle mafie alle imprese in crisi e ai negozianti con le saracinesche ancora abbassate ha avuto una clamorosa conferma nell’inchiesta scattata ieri all’alba, «Mani in pasta», con cinquecento finanzieri impegnati per l’arresto di 91 persone sull’asse Palermo-Milano. L’allarme lanciato dai magistrati ed esperti di mafia sul rischio che le manacce di Cosa nostra si poggino sulle aziende del Nord in affanno per il Covid-19 viene così ratificato in atti giudiziari, come scrive il gip Piergiorgio Morosini nell’ordinanza di arresto che porta anche al sequestro di un patrimonio di 15 milioni di euro: «I clan sono pronti ad approfittare della situazione attuale, a dare la caccia ad aziende in stato di necessità».
Come sarebbe accaduto con boss e gregari delle storiche famiglie dei Galatolo e dei Ferrante, partiti dalle borgate marinare dell’Acquasanta e dell’Arenella, per puntare al quadrilatero della moda milanese, a discoteche, negozi e centri scommesse. Ma con l’aiuto di insospettabili. A cominciare da un commercialista milanese, da un macellaio della Brianza per riciclare denaro sporco, da un emissario ligure di Villanova d’Albenga assunto come «picciotto» per avvicinare i fantini e truccare le corse dei cavalli.
Una antica passione della mafia per fare cassa, gli ippodromi. Come quella del caffè, con tre marche da imporre nei bar. Settore affidato con la gestione di una società a un giovane aspirante attore arrivato dal Molise, Daniele Santoianni, noto per la somiglianza con il più noto Riccardo Scamarcio. Quasi un sosia. Come si disse quando riuscì a conquistare i riflettori del Grande Fratello entrando nella «Casa» con i capelli arruffati al punto giusto, inseguito dalla nomea di sciupafemmine conquistata da promoter di una discoteca milanese. Una carriera al ribasso che da sosia del vero attore, dalle foto sui magazine accanto a Nina Moric o Francesca Cipriani, lo vede declassato a controfigura dei boss impegnati a presentarsi come manager.
Una metamorfosi improbabile per i figli dello storico capomandamento dell’Acquasanta, Stefano Fontana, il capomafia ormai deceduto che ha lasciato lo scettro di un potere esteso agli appalti dei vicini Canteri navali a Gaetano, Giovanni e Angelo e anche alla figlia Rita. Tutti finiti in carcere con la madre, Angela Teresi, accusata della gestione della cassa. E con la compagna di Gaetano Fontana fermata non per mafia, Michela Radogna.
Sono loro i rampolli di un fedelissimo di Totò Riina legato anche al fallito attentato dell’Addaura, nel 1989, davanti alla villa di Giovanni Falcone. Una scena vista da un tossicodipendente di 16 anni, Francesco Paolo Gaeta, come confessò qualche anno dopo Angelo Fontana, «un traditore», zio di uno dei capi oggi in manette, Gaetano Fontana. Troppo pericoloso per i Corleonesi. «Se lo pigliano, questo ci rovina». Una sentenza di morte.
Questo sanguinario pedigree hanno cercato di lasciarsi alle spalle i figli trasferiti a Milano anche aprendo la gioielleria sequestrata alcuni mesi fa a due passi dal Duomo, la «Luxury Hours». Ma resta l’incrostazione di una mentalità specchiata nell’intercettazione di Giovanni Ferrante mentre parla al figlio perché punisca i suoi nemici. Una lezione di mafia: «Vi fate trovare con le mazze, legnate a tempesta!, fallo morire là…». Un orrore documentato dalla polizia valutaria guidata dal colonnello Saverio Angiulli, sotto il coordinamento della Procura dove arrivano i complimenti del Viminale con Luciana Lamorgese rivolta al mondo politico: «In questo momento lo Stato deve dimostrare di essere vicino ai cittadini in situazioni di estremo bisogno e alle piccole e medie aziende…». Perché non diventino preda dei boss.