di Massimo Rossi
Avvocato penalista
Nella nostra qualità di cittadini di uno Stato democratico dobbiamo domandarci se la nostra amata Costituzione repubblicana viene violata dai provvedimenti che piovono come grandine sui nostri diritti e sono partoriti dal nostro Governo.
In primo luogo dobbiamo chiarire che esiste nel nostro sistema giuridico la gerarchia delle fonti legislative e la Costituzione è la fonte più alta del nostro ordinamento.
Occorre capire, se una condizione quale quella epidemica in atto, può da sola interferire e interrompere il sistema delle garanzie costituzionali riconosciute ai cittadini come soggetti individuali e come soggetti associativi.
Questa non deve sembrare né una domanda retorica né capziosa.
Questo è un problema giuridico e di garanzie degli individui che non è secondo a nessun altro tema nemmeno quello epidemiologico.
Riteniamo che sia un dubbio legittimo per un giurista come il sottoscritto che crede nei principi costituzionali e nei principi di libertà che la Carta Costituzionale tutela e riconosce agli individui e alle associazioni.
Nella Costituzione della Repubblica Italiana non esiste alcuna situazione giuridica che giustifichi lo “stato di emergenza”; tale condizione giuridica non ha rango Costituzionale.
Trova invece rango Costituzionale l’art. 32 che tutela la salute individuale e collettiva che deve essere contemperata e bilanciata nel tempo e nello spazio con gli altri diritti del medesimo valore.
Il diritto costituzionale sancito dall’art. 32 non può azzerare gli effetti e l’efficacia degli altri diritti di pari rango; ciò è inammissibile, inaccettabile e per molti versi estremamente pericoloso.
Lo “stato di emergenza” invece si trova il suo situ nella legge istitutiva della Protezione Civile che è legge di rango ordinario (di recente modificata dal dlg.vo n. 1 del 2018).
Il corto circuito emotivo che si è posto in essere ruota sulla caratteristica dell’epidemia (ampia diffusione del coronavirus) che è altamente contagiosa e quindi il comportamento del singolo ha indubbi riflessi sulla salute della intera collettività.
Tale effetto del virus è un effetto medico e patologico non giuridico.
Questa distinzione deve essere fatta altrimenti ci facciamo prendere dal lato emotivo della vicenda che stiamo vivendo.
Tale effetto deve essere tenuto sotto controllo senza che gli altri diritti costituzionali siano azzerati.
Estremamente importante, come al solito, è la cronologia degli eventi che si sono succeduti.
Il giorno dopo la scoperta dei primi due casi di coronavirus in Italia, il 31 gennaio 2020 il Governo ha pubblicato un comunicato stampa in cui annunciava che il Consiglio dei Ministri aveva «deliberato lo stato d’emergenza, per la durata di sei mesi, come previsto dalla normativa vigente, al fine di consentire l’emanazione delle necessarie ordinanze di Protezione Civile».
Lo stato di emergenza non può superare i 12 mesi (art. 24, Dlg.vo n. 1/2018) e si deve basare su dati oggettivi che possano garantire il rispetto della legalità (altrimenti, come è ovvio, si potrebbe sfociare nell’arbitrio).
Nella Gazzetta Ufficiale si legge che nella riunione del 31 gennaio il Consiglio dei Ministri «ha dichiarato, per 6 mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili».
Un riferimento diretto, dunque, all’emergenza coronavirus, che in quei giorni era limitata solo alla presenza dei due pazienti di origine cinese allo Ospedale Spallanzani di Roma.
Questa dichiarazione da parte del governo è stata fatta sulla base di qualche articolo della Costituzione?
La risposta a tale domanda è negativa.
Nessun articolo della Costituzione repubblicana del 1948 parla di “stato di emergenza”.
Come spiega la delibera stessa del Consiglio dei Ministri, la dichiarazione dello stato d’emergenza è stata fatta ai sensi del decreto legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018, ossia del “Codice della Protezione Civile”.
L’articolo 7 stabilisce tre tipi di eventi emergenziali in base a estensione, intensità e capacità di risposta della Protezione civile.
I tre tipi sono: “tipo a” (interventi a livello comunale), di “tipo b” (livello provinciale e regionale) e di “tipo c” (livello nazionale).
Con “eventi emergenziali” di “tipo c” – come quello legato al nuovo coronavirus – si intendono «emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell’articolo 24».
In questi casi, in base all’articolo 24 del d.lgs. 1/2018, il Consiglio dei Ministri delibera lo stato di emergenza, su proposta del Presidente del Consiglio.
La delibera dello stato d’emergenza, prevista dall’articolo 24, autorizza poi l’emanazione delle ordinanze di Protezione civile (regolate dall’articolo 25) di cui si sente parlare spesso in questi giorni.
La delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio scorso fa riferimento agli articoli 7 e 24 del “Codice della Protezione civile”; non vi è e non vi poteva essere alcun richiamo alla Carta Costituzionale.
Elemento essenziale è la limitazione nel tempo e la oggettività dell’emergenza onde evitare situazioni che vanno a comprimere i diritti fondamentali ed inalienabili delle persone.
«La Costituzione italiana non prevede l’ipotesi dello stato d’emergenza», ha scritto il 18 marzo su Questione Giustizia, la docente prof.ssa Ilenia Massa Pinto, ordinaria di Diritto Costituzionale all’Università di Torino.
La nostra Costituzione prevede infatti che le Camere possano deliberare solo «lo stato di guerra» – che deve essere poi formalmente dichiarato dal presidente della Repubblica, in base all’articolo 87 – e conferire al governo «i poteri necessari».
«La dichiarazione dello stato d’emergenza è dunque fondata sulla normativa di rango primario adottata in materia di Protezione civile», ha aggiunto la prof.ssa Pinto.
È vero che, al di là dell’ipotesi dello «stato di guerra», in base all’articolo 77 della Costituzione «in casi straordinari di necessità e di urgenza» il governo può adottare «provvedimenti provvisori con forza di legge», che devono essere presentati il giorno stesso per la conversione alle Camere.
Si tratta dei “decreti legge” di cui si sente spesso parlare.
Questi decreti non hanno a che fare con la dichiarazione dello stato d’emergenza fatto dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio scorso e, anzi, il ricorso a questi strumenti previsti dall’art. 77 cost. è diventato ormai la normalità nell’operato dei diversi governi nelle ultime legislature.
Peraltro, sotto il profilo essenzialmente pratico, vi sarebbe da capire come il 31 gennaio 2020 si decreta lo “stato di emergenza” e sino all’ 8 marzo 2020 non si sono presi i provvedimenti conseguenti.
Su questo punto temo che dovremo riflettere parecchio ed approfondire la questione ma non è questo il momento; adesso c’è gente contagiata che soffre e talvolta muore e cittadini che soffrono per le gravi restrizioni in atto.
Analizziamo cosa si è andati a comprimere in modo assoluto con i provvedimenti presi per lo stato di emergenza dal Consiglio dei Ministri.
Vediamo quali diritti di rango Costituzionale sono stati in qualche modo compressi e/o azzerati:
l’art. 1, il diritto al lavoro che è il fondamento della nostra Carta Costituzionale;
l’art. 2 della Costituzione che garantisce e riconosce i diritti inviolabili dell’uomo;
l’art. 13 relativamente alla libertà personale che è inviolabile;
l’art. 16 relativamente alla libera circolazione e soggiorno di ogni cittadino;
l’art. 17 relativamente alla libertà dei cittadini di riunirsi liberamente e pacificamente; in luogo privato o in luogo pubblico;
l’art. 19 relativamente alla libertà di professare il proprio culto;
l’art. 21 relativamente alla libera manifestazione del pensiero differente da quello che il Governo rappresentava;
il diritto di sciopero che presuppone assemblee e in quanto assembramenti sono vietate;
il diritto di manifestare il proprio pensiero politico in assemblee ed in quanto assembramenti sono vietate;
il diritto di esercitare il voto e tutti i diritti politici in genere che per definizione si svolgono in assemblee che come assembramenti sono vietate.
Questi diritti di rango costituzionale sono stati compressi sino ad essere annullati e sino a ipotizzare condotte criminali o di illecito amministrativo se i cittadini pongono in essere comportamenti che attualmente sono tutelati dalle norme costituzionali (si compre da ciò il caos giuridico determinato).
Non vi è chi non veda che siamo difronte ad uno scontro di tipo normativo nel quale si vuole sospendere diritti costituzionali inalienabili.
Siamo giunti alla compressione di diritti fondamentali senza che vi fosse un reale stato giuridico che motivasse tale compressione e/o eliminazione; lo stato di emergenza è giuridicamente insufficiente e non riguarda minimamente la eliminazione o sospensione dei diritti fondamentali dell’individuo.
Il pericolo di contagio che indubbiamente sussiste non si può combattere eliminando tutti diritti costituzionali che sono un presidio per l’individuo e per la collettività.
Non è con atti di forza nei confronti dei cittadini (e con una martellante informazione che ha detto tutto ed il contrario di tutto) che si deve operare ma con idonea profilassi e limitazione del contagio responsabilizzando i cittadini che non sono “sudditi” ma sono e restano soggetti portatori di diritti e di doveri.
Si sosterrà che il pericolo del contagio è un motivo ragionevole: falso!
La risposta è negativa poiché non è con la paura del contagio che si possono limitare sino ad annullare i diritti costituzionale sopra menzionati; ma si deve consentire il loro esercizio anche in una situazione di emergenza e questo non è accaduto.
Il diritto alla salute individuale e collettiva (art. 32 Cost) deve e può essere tutelato conservando gli altri diritti costituzionali ma a nessuno e tanto meno al Governo è dato il potere di annullarli con provvedimenti che giuridicamente non sono promanati da norme costituzionali ma da norme ordinarie.
Possiamo fare un esempio molto calzante: i cittadini che oggi volessero manifestare il dissenso alle misure governative non lo potrebbero fare in forza di atti giuridici di rango subordinato alla Carta Costituzionale e ciò è giuridicamente irragionevole oltre ad esser terribilmente pericoloso a livello politico e della tenuta democratica del Paese.
Come se non bastasse, ma qui si va nella cronaca e quindi in terreno molto scivoloso, si ipotizza per la fase 2 (che non è comprensibile quali basi giuridiche contenga) il controllo ed il tracciamento dei cittadini attraverso delle App.
La soluzione, se attuata, porrebbe infiniti problemi di tipo costituzionale che per ragioni di vastità dei temi non intendiamo trattare al momento.
Un dato però sarebbe certo: saremmo molto vicino a qualcosa che non somiglia più alla democrazia che conosciamo.