Finkielkraut “Il nemico non ci perdona di essere come siamo”

di Eugénie Bastié
Per il filosofo e accademico di Francia Alain Finkielkraut, l’attentato perpetrato nella basilica di Notre-Dame a Nizza si aggiunge a una lista troppo lunga. È la Francia in quanto civiltà, e non soltanto la Repubblica, a essere presa di mira dal terrore islamista. «È un nemico che non ci perdona di essere quello che siamo».
“Una battaglia è cominciata fra il partito del sussulto e il partito dell’altro”, affermava nel 2015 dopo l’attacco contro Charlie Hebdo. A che punto siamo, oggi?
«Il terrorismo non è un fenomeno a sé stante. Fa parte di un tutto, e questo tutto è l’odio della civiltà francese. Il crimine di Nizza conferma questa diagnosi. Da un Allah akbar all’altro, da Mohamed Merah all’attentato di ieri, la Francia è presa di mira nella sua dimensione ebraica, nella sua dimensione laica e nella sua dimensione cristiana.
Possiamo protestare la nostra buona volontà e lottare con ardore contro tutte le discriminazioni, ma il nemico è qui, e non ci perdona di essere quello che siamo. La decapitazione di Samuel Paty non è stata pianificata né ordinata dallo Stato islamico. Non porta il marchio di nessuna organizzazione nazionale o internazionale. Ma questo non significa che sia opera di un lupo solitario. Questo attacco è stato preceduto da una manovra organizzata che ha implicato almeno il padre di uno studente, un predicatore antisemita e degli alunni che, dietro compenso, hanno indicato il professore all’assassino nonostante costui non avesse fatto mistero della sua volontà di umiliarlo e picchiarlo per aver mostrato della caricature del profeta in classe.
Questo attentato rivela la continuità che esiste fra l’islamismo ordinario e il terrore sanguinario».
La vulgata detta islamogauchiste sta diventando minoritaria nel dibattito pubblico?
«Il partito della negazione è ancora vivo. Degli ultimi quattro attentati imputati all’islam radicale, tre sono stati commessi da rifugiati. Ma se il governo si azzarda a rivedere le condizioni del diritto d’asilo e più in generale a irrigidire la politica migratoria per non lasciare più che sia il numero a dettare legge, tutte le corti supreme europee e francesi insorgono. Espiare attraverso l’accoglienza il rifiuto di accogliere i profughi ebrei in fuga dalla Germania durante gli anni oscuri del XX secolo: questo è il compito che si assegnano i giudici dell’era posthitleriana. E in questo modo spianano la strada, con le migliori intenzioni, al nuovo antisemitismo».
Dopo la promessa formulata da Emmanuel Macron di proteggere la libertà d’espressione, Erdogan ha messo in discussione la sua “sanità mentale” e accusato la Francia di islamofobia. È venuto il momento di aprire gli occhi anche sul presidente turco?
«L’Europa con la Turchia non si è mai comportata come un “club cristiano”. Invece, Recep Tayyip Erdogan, che aspira alla leadership sul mondo musulmano, definisce l’assimilazione alla cultura europea come un crimine contro l’umanità. Con lui, l’islam politico si mette in posizione di combattimento. E il suo obiettivo a lungo termine non è il separatismo, è la conquista».
Durante l’omaggio all’insegnante Samuel Paty, Emmanuel Macron ha affermato che il ruolo della scuola è di “fare dei repubblicani”. È davvero questo il ruolo della scuola?
«Secondo un recente sondaggio, il 74 per cento dei musulmani al di sotto dei 25 anni antepone la legge religiosa alle leggi della Repubblica. La laicità, principio repubblicano per eccellenza, poggia sull’indipendenza della vita spirituale. Senza il riconoscimento di questa indipendenza, non c’è possibilità di insegnamento. Per garantire la trasmissione dei saperi è dunque indispensabile fare dei repubblicani».
Più in generale, c’è la sensazione che i nostri uomini politici usino a ogni piè sospinto la parola “Repubblica”, a scapito della parola “Francia”. Condivide questa impressione?
«La Repubblica rappresenta dei valori universali. La Francia è una lingua, una letteratura, uno stile di esistenza, delle città, dei paesaggi, dei monumenti e degli edifici inimitabili. Oggi, questo particolarismo fa paura: in base all’impulso semplificatorio che si è impadronito della memoria, si pensa, nelle alte sfere della vigilanza, che non esista un “noi” senza esclusione di un “loro”, che non esista patria carnale senza un carnaio per gli stranieri. Ebbene, no! L’”altro” che oggi è oggetto di un odio omicida non è soltanto la Repubblica, è la nazione, e niente avrebbe sorpreso o indignato di più il generale de Gaulle che la volontà di edificare la prima sulla negazione della seconda in nome dell’antifascismo».
Un libretto con dentro delle caricature di Charlie Hebdo verrà distribuito nelle classi. Bisogna sacralizzare quei disegni perché i terroristi le hanno scelte come bersaglio?
«Nel programma scolastico bisogna mettere le opere, nient’altro che le opere. Ma il libretto di cui lei mi parla non è il programma, è l’iscrizione nel marmo di questo fatto inaudito: delle persone sono state assassinate per aver pubblicato o commentato in classe dei disegni. Non sono un sostenitore incondizionato della caricatura, ma questi avvenimenti atroci fanno parte della nostra memoria collettiva e a questo titolo devono essere meditati e trasmessi».
I giornali americani sembrano avere uno sguardo molto critico nei confronti della reazione francese all’attentato, accusando il governo di aver preso di mira “gruppi musulmani” (il Washington Post).
Che cosa le ispira questo sfalsamento tra opinione pubblica francese e opinione pubblica americana?
«Il New York Times ha titolato: “La polizia francese spara su un uomo e lo uccide dopo un attacco all’arma bianca”. Per questo grande giornale, l’avvenimento di Conflans-Sainte-Honorine non è la decapitazione di un professore, è la violenza senza freni della polizia.
Sulle due sponde dell’Atlantico le forze dell’ordine continuano, in tutta impunità, ad assassinare George Floyd. Trump non è l’unico problema che si pone agli Stati Uniti e che gli Stati Uniti pongono al mondo. Come Russell Banks, Richard Ford e tutti gli scrittori americani forzati dall’inquietudine a uscire dalla loro torre d’avorio, ho paura del tiranno triviale che cerca di ottenere un secondo mandato alla Casa Bianca.
Ma contrariamente a loro, ho altrettanta paura della sinistra americana formattata dentro campus universitari dove ormai da tempo la demenza ideologica ha preso il posto della cultura generale».
— Traduzione di Fabio Galimberti
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