Da Trump a Orbán e Duterte i maestri di propaganda e odio che ispirano Di Maio & C.

L’attacco di Luigi Di Maio al gruppo editoriale cui appartiene Repubblica non è caso isolato. In questa distorsione dei rapporti tra giornalisti e potere, dove è il potere a controllare la stampa e non viceversa, e dove la “realtà alternativa” diventa la narrazione dominante, l’Italia si trova in buona compagnia. Si tratta di un trend comune a molti governi democratici che mal tollerano la presenza di fact checker e osservatori indipendenti.
Senza dover arrivare nei luoghi in cui la democrazia è già “morta nell’ombra” della censura aperta , come in Cina o in Russia, l’allarme più pressante arriva dagli Stati Uniti in cui Donald Trump ha eletto i media a “nemici del popolo”, riscrivendo la realtà quotidianamente su Twitter, nelle fake news dei gruppi Facebook che lo sostengono e sul proprio account Twitter.
O guardiamo alle campagne violente contro i media critici condotte da Viktor Orbán in Ungheria. La Turchia di Erdogan è l’esempio forse più eclatante, con i suoi cento giornalisti in prigione e oltre 160 aziende costrette a chiudere.
Dall’altra parte del mondo, un altro aspirante caudillo, il filippino Rodrigo Duterte, ha instaurato un sistema di minacce e intimidazioni sui social media contro i giornalisti che può facilmente diventare un format.
Così come può trovare emuli, anche in Italia, il neologismo coniato da una blogger poi promossa da Duterte in importanti incarichi di governo: “presstitute”, un gioco di parole tra press e prostituta.
Strano che Trump e i suoi imitatori non ci abbiano ancora pensato.
Il governo italiano è sceso in campo in forze in questa battaglia contro la libera informazione. Dalle “veline” di Rocco Casalino, agli sberleffi via social di Matteo Salvini, agli auspici di licenziamento dei giornalisti del ministro del Lavoro, fino alle dichiarazioni – ieri – del sottosegretario all’editoria Vito Crimi (M5S): “Nessuno di noi attacca la ‘libertà’ di stampa. Semmai condanniamo la ‘NON-libertà’ di stampa. Cioè quella condizione per cui alcuni giornali utilizzano come clave i loro mezzi di informazione piegando i fatti, a volte stravolgendoli e a volte inventandoli, pur di giustificare quello che scrivono contro il governo”.
Un’acrobazia linguistica per marcare lo stesso territorio: è la stampa a doversi difendere, il potere non si tocca.
– Raffaella Menichini
Fonte: La Repubblica, www.repubblica.it/