Il punto
Igiorni che potrebbero distruggere l’Europa come l’abbiamo conosciuta negli ultimi vent’anni sono scanditi da uno scontro sempre più aspro tra Francia e Italia. O per meglio dire tra il presidente Macron e il ministro dell’Interno Salvini. Un conflitto in cui si mescola di tutto: l’architettura europea; gli interessi in Africa del Nord di entrambi i contendenti; ma anche la politica interna francese e la politica interna italiana. Un miscuglio senza precedenti e del tutto anomalo, visto che il duello è fra un capo di Stato e un ministro (sia pure uno che adora essere considerato il vero premier o il regista).
La verità che spiega tutto è presto detta.
È già cominciata la campagna elettorale per le elezioni europee del maggio 2019, quando si fronteggeranno due campi: gli europeisti ortodossi e i cosiddetti “sovranisti”, avversari dell’Unione così com’è. Sono due campi trasversali a quasi tutti i Paesi. Ora è evidente che Macron si presenta fin d’ora come il leader del campo ortodosso, con l’intenzione di replicare il successo dell’anno scorso in Francia. Allora egli sconfisse Marine Le Pen, da lui considerata la versione femminile di Salvini, difendendo l’Europa come prospettiva irrinunciabile. Oggi Macron replica lo stesso schema su scala continentale. Il che trasforma in modo automatico l’italiano che guida la Lega nel nemico numero uno. Colpendo lui, si prendono d’infilata tutti i “populisti” – a cominciare dall’ungherese Orbán – che minano i vecchi assetti del Parlamento di Bruxelles e Strasburgo.
E Salvini, beninteso, ha bisogno a sua volta di un nemico numero uno. Il conflitto con il presidente francese lo esalta e lo pone anche sul piano psicologico su un piedistallo inimmaginabile fino a poco tempo fa. Del resto, i due sono fatti per detestarsi: Macron si rende conto che la vera minaccia all’Unione viene da un Paese come l’Italia, non certo dalla periferia di Visegrad; e Salvini si azzuffa volentieri con il francese perché è un bersaglio più conveniente della Germania di Angela Merkel, la Cancelliera resa afona dalla sua crisi interna.
Del resto è proprio un tedesco autorevole, l’ex ministro Schauble, a tendere la mano all’Italia quando afferma che «non è concepibile» l’Europa senza Roma. Tuttavia il quesito è se si vuole trovare una soluzione ai problemi oppure no. A Berlino sono di sicuro favorevoli a un accordo, ma i margini sono stretti, talmente stretti che la spaccatura nell’imminente Consiglio europeo potrebbe essere inevitabile.
Salvini non ha alcun interesse a un compromesso che riporti indietro gli orologi a quando governava il centrosinistra. Il premier Conte e il ministro degli Esteri Moavero invece stanno cercando un’intesa perché sanno bene – come ha detto di recente il responsabile della Farnesina – che la disgregazione dell’Europa sarebbe un danno dalle incalcolabili conseguenze.
Entrambi però lavorano dentro la cornice del governo giallo-verde: difesa delle frontiere esterne; principio per cui chi approda in Italia in realtà entra in Europa; centri di identificazione stabiliti in Nord Africa. E qui il conflitto con la Francia sembra al momento irrisolvibile.
Salvini va per la sua strada, nonostante errori e contraddizioni. In Libia gli hanno spiegato che i centri di raccolta non sono graditi sul loro territorio.
Subito sono stati idealmente spostati al di là delle frontiere meridionali del Paese. Ma lì, fra il Niger e il Mali, siamo nella sfera d’influenza francese. Così tutto si complica drammaticamente, mentre le elezioni sono ancora lontane e l’Europa rischia di esplodere adesso.
La verità che spiega tutto è presto detta.
È già cominciata la campagna elettorale per le elezioni europee del maggio 2019, quando si fronteggeranno due campi: gli europeisti ortodossi e i cosiddetti “sovranisti”, avversari dell’Unione così com’è. Sono due campi trasversali a quasi tutti i Paesi. Ora è evidente che Macron si presenta fin d’ora come il leader del campo ortodosso, con l’intenzione di replicare il successo dell’anno scorso in Francia. Allora egli sconfisse Marine Le Pen, da lui considerata la versione femminile di Salvini, difendendo l’Europa come prospettiva irrinunciabile. Oggi Macron replica lo stesso schema su scala continentale. Il che trasforma in modo automatico l’italiano che guida la Lega nel nemico numero uno. Colpendo lui, si prendono d’infilata tutti i “populisti” – a cominciare dall’ungherese Orbán – che minano i vecchi assetti del Parlamento di Bruxelles e Strasburgo.
E Salvini, beninteso, ha bisogno a sua volta di un nemico numero uno. Il conflitto con il presidente francese lo esalta e lo pone anche sul piano psicologico su un piedistallo inimmaginabile fino a poco tempo fa. Del resto, i due sono fatti per detestarsi: Macron si rende conto che la vera minaccia all’Unione viene da un Paese come l’Italia, non certo dalla periferia di Visegrad; e Salvini si azzuffa volentieri con il francese perché è un bersaglio più conveniente della Germania di Angela Merkel, la Cancelliera resa afona dalla sua crisi interna.
Del resto è proprio un tedesco autorevole, l’ex ministro Schauble, a tendere la mano all’Italia quando afferma che «non è concepibile» l’Europa senza Roma. Tuttavia il quesito è se si vuole trovare una soluzione ai problemi oppure no. A Berlino sono di sicuro favorevoli a un accordo, ma i margini sono stretti, talmente stretti che la spaccatura nell’imminente Consiglio europeo potrebbe essere inevitabile.
Salvini non ha alcun interesse a un compromesso che riporti indietro gli orologi a quando governava il centrosinistra. Il premier Conte e il ministro degli Esteri Moavero invece stanno cercando un’intesa perché sanno bene – come ha detto di recente il responsabile della Farnesina – che la disgregazione dell’Europa sarebbe un danno dalle incalcolabili conseguenze.
Entrambi però lavorano dentro la cornice del governo giallo-verde: difesa delle frontiere esterne; principio per cui chi approda in Italia in realtà entra in Europa; centri di identificazione stabiliti in Nord Africa. E qui il conflitto con la Francia sembra al momento irrisolvibile.
Salvini va per la sua strada, nonostante errori e contraddizioni. In Libia gli hanno spiegato che i centri di raccolta non sono graditi sul loro territorio.
Subito sono stati idealmente spostati al di là delle frontiere meridionali del Paese. Ma lì, fra il Niger e il Mali, siamo nella sfera d’influenza francese. Così tutto si complica drammaticamente, mentre le elezioni sono ancora lontane e l’Europa rischia di esplodere adesso.