LE LARGHE INTESE A BRUXELLES.

 

Il retroscena
Berlusconi ha incontrato a Bruxelles il presidente della commissione Juncker e i vertici del Ppe. E ha detto a chiare lettere che l’esito del voto garantirà l’assenza di leghisti e grillini dal prossimo esecutivo. pagina 7 Ci sono due numeri che possono cambiare il segno degli ultimi quaranta giorni di campagna elettorale: meno 0,42 e 135. Si tratta di due indicatori che per la prima volta da diversi anni rappresentano un segno positivo per l’Italia. Il primo è il rendimento registrato dai Bot nella prima asta del 2018. Il secondo è lo spread medio tra Btp e Bund nella settimana passata. I mercati finanziari, insomma, non avvertono – per ora – un rischio-Paese. Pur trovandosi dinanzi a un appuntamento elettorale dall’esito pesantemente incerto. Il motivo? Per molti investitori e trader risiede in un impegno preso in gran segreto da Silvio Berlusconi: «La Lega non farà parte del governo». Non si tratta della consueta rassicurazione del leader di Forza Italia sul ruolo che avrà Matteo Salvini nella coalizione di centrodestra. Si tratta del passaggio ulteriore. Che ha un solo nome: «Larghe intese».
Il tutto ha preso corpo all’inizio della settimana scorsa. L’ex Cavaliere ha incontrato a Bruxelles il presidente della Commissione Juncker e i vertici del Ppe, tra cui il tedesco “merkeliano” Weber. Al di là delle frasi da cerimoniale, Berlusconi in entrambe le occasioni ha detto a chiare lettere quel che i suoi interlocutori volevano ascoltare.
Ossia non che il Carroccio sarà gestito e guidato da Forza Italia.
Ma che l’esito del voto garantirà l’assenza di leghisti e grillini dal prossimo esecutivo. Una sorta di proposta di “patto segreto”. Da tenere riservato fino al 4 marzo. E che nelle intenzioni berlusconiane dovrebbe vedere in Juncker il notaio certificatore tra due controparti che in passato si sono detestate: Berlusconi e i popolari europei. E, quindi, di fatto anche Angela Merkel, che l’ex premier italiano ha incontrato l’autunno scorso. La prova che il “patto segreto” sia entrato in agenda la si è avuta lo stesso giorno dei colloqui di Bruxelles. In serata, infatti, improvvisamente lo spread tra Btp e Bund tedeschi è sceso di tre punti a quota 135 per poi subire ulteriori limature fino ad arrivare giovedì a 131. Per poi risalire venerdì a 138 sull’onda delle dichiarazioni fatte a Davos da Trump e a Francoforte da Draghi su euro e dollaro.
Ma il punto è che, contrariamente a tutte le previsioni, non c’è nessun tipo di tensione sui titoli di Stato italiani. E sebbene tra marzo e maggio – ossia tra il voto e l’ipotetica formazione del nuovo governo – vadano a scadenza quasi 100 miliardi tra Bot, Cct e Btp, chi è chiamato a investire al momento non scommette assolutamente sul peggio. Certo, i dati economici sono in miglioramento e il fabbisogno è in calo. Ma non bastano questi dati a tranquillizzare gli investitori. Che invece credono all’idea di un “patto segreto” dell’ex Cavaliere.
«Il mercato – spiega il responsabile dell’Ufficio studi di una delle più importanti banche italiane – è convinto che il Parlamento non resterà paralizzato e che nascerà un esecutivo di larghe intese. Se invece ci fosse l’idea di una vittoria del M5S o della Lega, allora tutto cambierebbe».
E questa convinzione si basa in primo luogo sulle mosse del capo di Forza Italia. Che, non a caso, alimenta costantemente il sospetto che la sua corsa elettorale non abbia come obiettivo la vittoria del centrodestra. Del resto, proprio l’altro ieri in una riunione ad Arcore con i colonnelli forzisti, Berlusconi ha sorpreso tutti – o meglio tutti hanno fatto finta di sorprendersi – quando ha detto apertamente: «Ma vi pare che io, a questa età, possa aver voglia di mettermi a discutere con Salvini su come si governa il Paese? Gli italiani ci permetteranno di trovare altre soluzioni». E del resto, che le sue mosse vadano in questa direzione lo si capisce proprio dal rapporto – inverso rispetto agli anni scorsi – costruito con la “tecnostruttura” di Bruxelles. Al punto da difendere persino il parametro del 3% nel rapporto deficit-pil. Non solo. Qualche settimana fa il leader leghista Salvini aveva rivolto una preghiera a Forza Italia: «Non parlatemi di Tajani premier. Come presidente dell’europarlamento ha sostenuto tutto quello che io ho combattuto.
Se è lui il vostro candidato, sappiate che è l’unico che io non posso appoggiare». E per tutta risposta Berlusconi cosa fa? Ne rilancia la premiership. Anche perché nel “patto segreto” avanzato a Bruxelles, il nome del presidente di Strasburgo viene considerato un tassello importante. Una sorta di “assicurazione di europeismo” che allontana i sospetti europei sul centrodestra italiano.«Non è una scoperta – spiegava nei giorni scorsi un alleato di Forza Italia come Maurizio Lupi – che Berlusconi non voglia vincere le elezioni. E che preferisca un governo di larghe intese piuttosto che uno con Salvini e Meloni».
Ma ci sono altri elementi che ad Arcore e a Palazzo Grazioli vengono considerati una prova ancora più decisiva delle reali intenzioni dell’ex Cavaliere. Le scelte dei candidati in alcuni collegi. Come gli sfidanti nei collegi di Renzi e Gentiloni: sembrano scelti per non disturbare. Così come le avance continue di Salvini verso il mondo grillino – per ultimi i contatti con il candidato alla Regione Lazio, Sergio Pirozzi, considerato un trait d’union con il M5S – sono la dimostrazione che pure il capo leghista non si fida e studia già un Piano B. Ma i progetti di tutti dovranno misurarsi con la realtà dei voti: oltre agli schemi teorici, dal 5 marzo conteranno solo i seggi conquistati. E nessuno in questa fase può garantire un governo di larghe intese o la stramba alleanza populista tra post secessionisti e grillini.
La Repubblica.
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