Non ce ne voglia Piero Fassino, di cui pure va apprezzata la generosità nell’accettare la proposta di Renzi, ma ricostruire sulle macerie fumanti del centrosinistra sembra ormai più che un compito impossibile, una fatica inutile. La sensazione è che l’apert u ra d e l s e g re t a r i o d e l Partito democratico a una coalizione «la più ampia possibile» sia stata fatta f u o r i t e m p o m a s s i m o, quando ormai il dentifricio è uscito dal tubetto. Raccontano che il leader dem sia convinto che, messi alle strette, a dicembre, prima dello scioglimento delle Camere, alla fine gli scissionisti saranno costretti ad andare a Canossa e accettare le condizioni di un accordo elettorale che ora sdegnosamente respingono. Ma si tratta di un azzardo e per comprenderlo basta ragionare sulle convenienze elettorali imposte dal Rosatellum. Presentandosi da soli i demoprogressisti di D’Alema e Bersani possono sperare di agguantare un risultato che, stando ai sondaggi, li proietta oggi tra il 4 e il 5 per cento. Una percentuale non disprezzabile che, tradotta in seggi nella quota proporzionale, significherebbe una ventina di deputati, sufficienti a formare un gruppo autonomo. Darebbe molto di più l’apertura di una trattativa con Renzi sui collegi uninominali? Difficile. Anzi, ci sarebbe il rischio concreto di scontentare quella parte di elettori che si rivolgono agli scissionisti proprio perché tengono alto l’argine antiPd. Insomma, quello che si porterebbe a casa da una parte – forse una decina di collegi uninominali – Mdp-Sinistra Italiana-Civati rischierebbero di perderlo dall’altra. Al momento il centrosinistra largo è una chimera, il Pd riuscirà al massimo a presentarsi alleato a una lista europeista (quella di Bonino-Della Vedova con forse anche i socialisti), un raggruppamento centrista (Alfano e Casini) e, forse, una piccola formazione di sinistra civica di cui si fa fatica a scorgere ora il contorno. Nulla di più. Con quale programma? Con quale progetto per il paese? Dalla conferenza di Napoli non sono uscite idee degne di rimanere impresse nella memoria. Ma certo la colpa di questo fallimento politico sarebbe ingeneroso attribuirla tutta al solipsismo di Matteo Renzi. Perché se è evidente il tatticismo dell’apertura renziana arrivata ieri fuori tempo massimo, è altrettanto chiara la logica del tanto peggio tanto meglio che anima dirigenti che un tempo si sarebbero definiti riformisti. Pur di fare perdere il Pd e lanciarsi in una sorta di riedizione della lista Tsipras non si fanno il minimo scrupolo di consegnare il Paese al centrodestra o ai grillini. Del resto sono mesi che da quelle parti non si sente una parola contro gli avversari storici della sinistra, tutti impegnati nel tentativo di demonizzazione del segretario Pd, fonte di ogni sciagura italiana. Per la sinistra si avvicina così il tempo di passare all’opposizione e tutto lascia credere che la traversata del deserto stavolta sarà lunga, molto lunga. E i protagonisti di questa stagione – tutti, nessuno escluso – si porteranno addosso la responsabilità di una sconfitta storica.
La Stampa – FRANCESCO BEI – 14/11/2017 pg. 1 ed. Nazionale.