L’ANALISI
L’AMERICA si spacca sull’attentato di Manhattan: è la prima volta che un atto di terrorismo non fa scattare il riflesso di unità nazionale. Era accaduto il contrario, almeno inzialmente, dopo l’11 settembre 2001. Ieri invece, a 16 anni di distanza, il nuovo attacco firmato da un terrorista islamico è stato usato subito e senza indugi nella polemica politica.
Per una scelta di Donald Trump, anzitutto.
Questo presidente è un maestro nel dividere l’America. Lo fa scientificamente. Perché è proprio esasperando le lacerazioni che gli riuscì il miracolo dell’8 novembre scorso, la conquista della Casa Bianca. Ieri ha usato il terrorista uzbeko per attaccare i democratici. EINDIRETTAMENTE una loro roccaforte simbolica, quella New York che oltre ad essere la città-martire dell’11 settembre è anche la più multietnica d’America, ha come simbolo la Statua della Libertà che accoglie da oltreoceano “le masse povere e stremate”, è la metropoli-santuario dove la polizia locale ha l’ordine dal sindaco di ignorare le direttive federali e di non partecipare a retate di immigrati clandestini. È anche la città di Trump, fra parentesi, ma l’8 novembre gli votò quasi al 70% contro.
Lui non finge di essere “il presidente di tutti gli americani”, lancia l’affondo contro il più importante dei politici newyorchesi, Chuck Schumer che guida l’opposizione democratica al Senato. Gli rinfaccia di essere la causa per cui l’uzbeko sta qui fra noi, con tanto di Green Card. Fu Schumer nel 1990 il promotore della “lotteria della diversità”, il sistema di estrazione a sorte che assegna 55.000 Green Card all’anno a stranieri provenienti da paesi poco rappresentati nell’attuale popolazione Usa. È così che il terrorista uzbeko Sayfullo Saipov ottenne il permesso di residenza permanente nel 2010.
Trump ieri ha chiesto l’abolizione di quella lotteria, l’introduzione di «controlli estremi» sui candidati alla Green Card, per selezionarli in base a criteri «meritocratici». Ne ha approfittato anche per regolare i conti con la giustizia americana: «Una buffonata». Poiché non risulta che i tribunali di qui siano indulgenti coi terroristi, è chiaro che ce l’ha con i giudici che gli bocciano da mesi i suoi Muslim Ban, i decreti presidenziali con cui ha tentato di chiudere l’accesso da vari paesi a maggioranza musulmana (non l’Uzbekistan, però).
L’opposizione sottolinea che Trump «gioca a favore dei terroristi quando divide e spaventa la nostra popolazione» (Andrew Cuomo, governatore di New York). Schumer oppone a Trump il paragone con George Bush che dopo l’11 settembre radunò tutti i leader democratici newyorchesi per una risposta comune. «Presidente, dov’è la sua leadership?» lo sfida il senatore democratico. Ma quel tipo di leadership non interessa Trump. Lui vuole consolidare la sua presa su quell’America – un po’ meno della metà – che lo ha votato. La sua strategia ha in mente il sentiero strettissimo di una rielezione che segua lo stesso copione del 2016: sotto il 50% del voto, grazie a un elettorato motivato, disciplinato, fedelissimo, in quell’altra America che non vuole affatto assomigliare a New York.
La sinistra reagisce polarizzandosi a sua volta. Schumer dimentica di dire che tre anni fa, sotto la presidenza Obama e in un clima politico più sereno, lui stesso voleva eliminare la “lotteria della diversità”. L’anno in cui venne introdotta, il 1990, appartiene ad un’altra èra storica. Undici anni prima dell’11 settembre. Tre anni prima di quella “prova generale” che fu l’attentato fallito nel 1993 al World Trade Center. Rispetto al 1990, l’America di oggi ha costruito molta più diversità etnica, il peso delle minoranze è cresciuto ampiamente. Nel mondo post-11 settembre, con l’Isis che spiega sui social media come maciullare pedoni e ciclisti usando un furgone affittato, molti americani si sentono esposti a minacce che non avrebbero immaginato 27 anni fa. Già in campagna elettorale Trump seppe usare le due stragi jihadiste di San Bernardino e Orlando per rimproverare a Hillary il linguaggio «politically correct» che rifiutava di usare l’aggettivo islamico, orgogliosamente rivendicato dai terroristi.
Nelle ultime 24 ore, divincolandosi dalla morsa dell’inchiesta sul Russiagate, il presidente è tornato all’offensiva.
Per una scelta di Donald Trump, anzitutto.
Questo presidente è un maestro nel dividere l’America. Lo fa scientificamente. Perché è proprio esasperando le lacerazioni che gli riuscì il miracolo dell’8 novembre scorso, la conquista della Casa Bianca. Ieri ha usato il terrorista uzbeko per attaccare i democratici. EINDIRETTAMENTE una loro roccaforte simbolica, quella New York che oltre ad essere la città-martire dell’11 settembre è anche la più multietnica d’America, ha come simbolo la Statua della Libertà che accoglie da oltreoceano “le masse povere e stremate”, è la metropoli-santuario dove la polizia locale ha l’ordine dal sindaco di ignorare le direttive federali e di non partecipare a retate di immigrati clandestini. È anche la città di Trump, fra parentesi, ma l’8 novembre gli votò quasi al 70% contro.
Lui non finge di essere “il presidente di tutti gli americani”, lancia l’affondo contro il più importante dei politici newyorchesi, Chuck Schumer che guida l’opposizione democratica al Senato. Gli rinfaccia di essere la causa per cui l’uzbeko sta qui fra noi, con tanto di Green Card. Fu Schumer nel 1990 il promotore della “lotteria della diversità”, il sistema di estrazione a sorte che assegna 55.000 Green Card all’anno a stranieri provenienti da paesi poco rappresentati nell’attuale popolazione Usa. È così che il terrorista uzbeko Sayfullo Saipov ottenne il permesso di residenza permanente nel 2010.
Trump ieri ha chiesto l’abolizione di quella lotteria, l’introduzione di «controlli estremi» sui candidati alla Green Card, per selezionarli in base a criteri «meritocratici». Ne ha approfittato anche per regolare i conti con la giustizia americana: «Una buffonata». Poiché non risulta che i tribunali di qui siano indulgenti coi terroristi, è chiaro che ce l’ha con i giudici che gli bocciano da mesi i suoi Muslim Ban, i decreti presidenziali con cui ha tentato di chiudere l’accesso da vari paesi a maggioranza musulmana (non l’Uzbekistan, però).
L’opposizione sottolinea che Trump «gioca a favore dei terroristi quando divide e spaventa la nostra popolazione» (Andrew Cuomo, governatore di New York). Schumer oppone a Trump il paragone con George Bush che dopo l’11 settembre radunò tutti i leader democratici newyorchesi per una risposta comune. «Presidente, dov’è la sua leadership?» lo sfida il senatore democratico. Ma quel tipo di leadership non interessa Trump. Lui vuole consolidare la sua presa su quell’America – un po’ meno della metà – che lo ha votato. La sua strategia ha in mente il sentiero strettissimo di una rielezione che segua lo stesso copione del 2016: sotto il 50% del voto, grazie a un elettorato motivato, disciplinato, fedelissimo, in quell’altra America che non vuole affatto assomigliare a New York.
La sinistra reagisce polarizzandosi a sua volta. Schumer dimentica di dire che tre anni fa, sotto la presidenza Obama e in un clima politico più sereno, lui stesso voleva eliminare la “lotteria della diversità”. L’anno in cui venne introdotta, il 1990, appartiene ad un’altra èra storica. Undici anni prima dell’11 settembre. Tre anni prima di quella “prova generale” che fu l’attentato fallito nel 1993 al World Trade Center. Rispetto al 1990, l’America di oggi ha costruito molta più diversità etnica, il peso delle minoranze è cresciuto ampiamente. Nel mondo post-11 settembre, con l’Isis che spiega sui social media come maciullare pedoni e ciclisti usando un furgone affittato, molti americani si sentono esposti a minacce che non avrebbero immaginato 27 anni fa. Già in campagna elettorale Trump seppe usare le due stragi jihadiste di San Bernardino e Orlando per rimproverare a Hillary il linguaggio «politically correct» che rifiutava di usare l’aggettivo islamico, orgogliosamente rivendicato dai terroristi.
Nelle ultime 24 ore, divincolandosi dalla morsa dell’inchiesta sul Russiagate, il presidente è tornato all’offensiva.
La Repubblica – FEDERICO RAMPINI – 02/11/2017 pg. 1 ed. Nazionale