Valerio Evangelisti, scomparso a settant’anni, era convinto della necessità di un immaginario alternativo per contrastare le forze della reazione
In un piccolo cimitero nascosto nelle vallate dell’Appennino emiliano affluiscono un centinaio di persone di tutte le età. La pioggia incessante inzuppa quattro bandiere rosse prive di simboli. Un uomo visibilmente commosso dispone amorevolmente una quinta bandiera sul feretro: è quella rossa e nera della Cnt, il sindacato anarchico che tra il 1936 e il 1939 animò la resistenza repubblicana al franchismo. Da sotto gli ombrelli si alza il canto dell’Internazionale, poi qualcuno seleziona un brano da Spotify e mette il volume dello smarthphone al massimo. Mi sembra di riconoscere i Sepultura, un gruppo death-metal brasiliano.
Lo scorso 18 aprile si è spento all’età di settant’anni Valerio Evangelisti, autore di oltre trenta romanzi tradotti in più di venti paesi, oltre che di un’infinità di racconti, saggi, articoli e prefazioni. Nella stessa giornata del funerale i sindacati di base avevano indetto a Roma una manifestazione con la parola d’ordine: «Abbassate le armi, alzate i salari». Su uno striscione portato da decine di lavoratori e lavoratrici si legge: «Dalle fabbriche ai porti, noi saremo tutto! Ciao Valerio!». Lo slogan «Noi saremo tutto» appartiene agli Industrial Worker of the World e dà il titolo a uno dei romanzi che lo scrittore bolognese ha dedicato all’eroica lotta di questo sindacato rivoluzionario negli Stati uniti.
Non è la prima volta che i movimenti sociali si appropriano dei libri di Evangelisti: una decina d’anni fa gli studenti del Book Bloc scesero in piazza con dei grandi scudi a forma di libro per difendersi dalle cariche della polizia. Il messaggio era chiaro: il nostro immaginario ci difende dalla vostra violenza. Anche in quell’occasione erano presenti i titoli usciti dalla penna di questo scrittore. «Di certo, preferisco di gran lunga vedermi su quegli scudi piuttosto che vincere il premio Strega – dichiarò – Non sono mai stato così orgoglioso come quando mi sono visto lì sopra».
Le quattro vite di So Long
Inizia a militare nei partiti della sinistra rivoluzionaria nel 1969 meritandosi il soprannome di «So Long» per la sua altezza: «In quei tempi ci si chiamava essenzialmente per nome o soprannome – diceva – I cognomi riguardavano la polizia. Nessuno stava a chiederli». Quando nel 1977 quei gruppi politici entrarono in crisi, istituzionalizzandosi o sciogliendosi nel movimento dell’Autonomia operaia, Evangelisti continua la sua militanza partecipando a decine di comitati e poi negli anni Ottanta alla nascente esperienza dei centri sociali. Questi organismi territoriali erano la risposta spontanea alla frammentazione dei soggetti antagonisti conseguente alla fine del ciclo di accumulazione fordista: occupando stabili in disuso per destinarli a punti d’incontro, a luoghi dove far musica e organizzare cineforum, permise, anche se parzialmente, di resistere alla repressione, al riflusso politico e alla piaga dilagante dell’eroina. In questo modo il patrimonio delle lotte del decennio precedente fu trasmesso alle generazioni più giovani.
Evangelisti, tuttavia, aveva una seconda, una terza e perfino una quarta vita. Dopo la laurea in scienze politiche nel 1976 continuò a svolgere attività di ricerca universitaria pubblicando volumi e saggi di storia riguardanti la plebe giacobina bolognese, il primo socialismo italiano, la banda anarchica Bonnot e le culture punk. Inoltre aveva vinto un concorso ed era stato ammesso alla Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione diventando nel 1981 un funzionario direttivo del Ministero delle Finanze. Questa sua nuova occupazione non cambiò minimamente la sua attitudine politica: come ebbe a raccontare in più di un’occasione, come poteva passava informazioni ai sindacati di base, affinché avessero più cartucce possibili nelle trattative con la controparte. Infine, questo ricercatore rivoluzionario «infiltrato» nelle linee nemiche scriveva racconti e romanzi fantastici che faceva circolare per divertimento tra amici e compagni.
Pallottole d’argento
Nel 1993 il suo Nicolas Eymerich, inquisitore vince il Premio Urania, il concorso di letteratura fantascientifica per inediti organizzato da Mondadori. L’anno successivo il libro diventa un best seller, nel 1995 un sequel è pubblicato a puntate sul magazine settimanale di Repubblica. Seguono adattamenti radiofonici, fumetti e videogiochi.
Nicolas Eymerich è un inquisitore catalano realmente esistito, ma la sua trasposizione letteraria ne fa un personaggio colto, scaltro, crudele, misogino, entomofobico e soprattutto schizoide sul quale confluiscono elementi di paraletteratura, gotico, horror, space opera, cyberpunk, poliziesco, western, romanzo storico e di formazione. La fantascienza italiana nasce a pieno titolo con questo prete domenicano, mentre prima era considerata un filone sostanzialmente estraneo alla tradizione nazionale.
Lo stile dei romanzi del ciclo di Eymerich è chiaro, scorrevole, senza sperimentazioni linguistiche. La trama si articola su vari piani temporali: il quattordicesimo secolo nel quale vive l’inquisitore, le ambientazioni successive dove incontriamo lo scienziato Marcus Frullifer, le astronavi psitroniche, i tre stati nordamericani dotati di un solo esercito, i nazicomunisti della Rache in eterno conflitto con Euroforce, la facciata politica di Eurobank. In questo metaverso letterario Eymerich risolve a ogni appuntamento un enigma e riporta l’ordine reazionario della Chiesa laddove l’eresia e la sovversione rischiano di attecchire.
Ma per quale ragione il rivoluzionario Evangelisti induce il lettore a identificarsi con un eroe che nel corso del suo viaggio interiore invece di redimersi si trasforma in un mostro compiutamente malvagio? Secondo Alberto Sebastiani, curatore di una monumentale opera che raccoglie i tredici romanzi dedicati al domenicano, la sua psicopatologia, la sua freddezza, la sua ostilità all’Altro, è in embrione la stessa del capitalismo contemporaneo: «Eymerich è una forma del male, un’ombra. E va riconosciuta. Per questo il lettore, nel suo viaggio dell’eroe, deve indagare il personaggio, capire come funziona e sconfiggerlo».
Del resto non solo il ciclo di Eymerich, ma l’intera opera dello scrittore bolognese si configura come un unico enorme romanzo in cui le forze della reazione si scontrano in eterno con quelle della ribellione. Per quanto possano essere totalizzanti e disperanti gli scenari evocati, la possibilità di resistere non è mai tacitata completamente. Valga per tutti il dialogo finale di Black Flag nel quale Carl di fronte ai carri armati che riaffermano il dominio del potere grida:
– È inutile! Tanto hanno già vinto! Il mondo è loro! Il futuro è loro!
Sheryl rispose: – Può darsi. L’importante è che sappiano che c’è chi resiste.
Avanzò verso i carri sparando tutti e sei i colpi del tamburo, in successione. Sei pallottole argentee perforarono il metallo urlante.
La resistenza non è mai inutile: «Se la causa è giusta, le battaglie perdute sono le più belle» afferma un’adolescente irlandese nel western Antracite. Qui il protagonista è Pantera, un altro personaggio seriale creato da Evangelisti, un pistolero messicano, una figura diversa da quella dell’inquisitore, anche se ne condivide alcuni tratti. Mentre Eymerich è pronto a eliminare chiunque metta in discussione il potere, Pantera è al soldo di chi lo ingaggia, ma per un insopprimibile senso di giustizia insorge contro coloro che commettono soprusi ai danni dei più deboli.
Nella poetica di Evangelisti, se il principio della ribellione è resiliente rispetto a quello del potere, l’arma di cui dispone è la stessa della reazione: l’immaginario, che in questo caso serve a concepire un futuro diverso; le narrazioni, e in particolar modo quelle della letteratura popolare, evocano archetipi, consentono ai lettori di viaggiare insieme, ricreano il legame sociale distrutto dal capitalismo.
Il sole dell’avvenire
L’immaginario include le figure del fantastico (i vampiri, i morti viventi, i fantasmi, i lupi mannari), ma non si limita a questo. La produzione di Evangelisti infatti abbraccia molte opere di narrativa storica priva di elementi soprannaturali. Tra queste bisogna citare i tre romanzi del ciclo del Sole dell’Avvenire, una saga di una famiglia emiliano-romagnola che narra le vicende del socialismo italiano dal 1870 ai primi anni del secondo dopoguerra, passando per il biennio rosso, il fascismo e gli anni della Resistenza.
Lo scrittore tesse in queste nuove avventure una fenomenologia della coscienza di classe, drammatica, articolata e non priva di elementi umoristici. Le separazioni familiari, le storie di emigrazione, di disoccupazione e povertà s’intersecano con i miti popolari e le forme di una socialità alternativa, prodotta dalla composizione di classe del tempo e del luogo. Molto interessante è il caso delle «cameracce» che permettevano agli operai di bere e mangiare a prezzi economici, di avere luoghi d’incontro dove giocare a carte dopo il lavoro. Non è casuale che un personaggio del libro veda in questi capannoni l’embrione della società futura. Torna qui alla memoria il ruolo che l’autore ebbe nel movimento dei centri sociali degli anni Ottanta.
L’ultimo romanzo che Evangelisti ha pubblicato s’intitola Gli anni del coltello. La rivoluzione è stata sconfitta, i patrioti che nel 1849 hanno combattuto per la Repubblica Romana si disperdono per la Penisola, provano nuovamente ad assaltare il potere asburgico in una pletora di micro-insurrezioni farsesche, s’illudono che la monarchia sabauda aiuterà la causa nazionale, litigano tra di loro, finiscono in prigione, subiscono torture, tradiscono. È questo il mondo narrativo nel quale si muove ancora una volta un protagonista oscuro, un terrorista etico che uccide nel nome della repubblica e del verbo mazziniano. Vestito con mantello e copricapo a larghe falde, Gabariol è un eroe popolare feroce che nella sua lunga odissea di sangue non subisce mai una vera e propria svolta coscienziale. Egli rimane sempre sé stesso, ciò nonostante gli eventi lo obbligano a confrontarsi con le contraddizioni di una rivoluzione che non affronta la questione sociale e spinge continuamente i patrioti a farsi massacrare per seguire gli appelli alla lotta armata di un partito repubblicano ormai trasformato in Compagnia della Morte.
Ancora una volta in questa opera ricorrono gli elementi peculiari della poetica sociologica dello scrittore bolognese: le osterie – con il loro correlato di cultura popolare enogastronomica, canora e immaginaria – come casematte del tessuto sociale antagonista; l’agency femminile come miscela sorprendente radicalità sovversiva e pragmatismo; il romanzo storico come dispositivo multistrato che sotto alla narrazione fluida e d’intrattenimento, cela una profonda analisi dei vissuti umani che si dipanano dalla conflittualità sociale.
Leggendo questo estremo lascito dello scrittore il pensiero corre immediatamente all’Italia dei primi anni Ottanta del ventesimo secolo, alle aspettative di un mondo migliore, durate per un decennio e svanite nell’arco di pochi mesi, alla militarizzazione dello scontro politico, alle leggi speciali, ai cinquemila prigionieri politici, alle sparizioni forzate, agli stupri e alle torture appurate nel corso di processi cui non seguirono pene per i colpevoli. Milioni di uomini e donne, dopo aver assaporato l’ebrezza di una vita autentica, rifluirono nel privato, nell’abiura, nella depressione, nell’eroina, nella clandestinità, nell’autoreferenzialità e poi, in molti casi, perfino nella delazione.
Partigiani del futuro
Valerio Evangelisti, essendo stato uno storico, padroneggiava gli strumenti della standardizzazione scientifica. A questi affiancò i modelli immaginari della letteratura per spingere ancora oltre la ricerca e soprattutto per forgiare le armi della ribellione. Nonostante fosse diventato uno scrittore di successo non abbandonò mai l’impegno politico appoggiando la rivoluzione sandinista, le lotte antimperialiste in America Latina e il movimento contro le inutili e diseconomiche distruzioni ambientali provocate dal treno ad alta velocità in Val di Susa. La sua ultima battaglia è stata contro l’escalation militare in corso: nelle videoconferenze appariva davanti alla sua sterminata libreria argomentando, con molti esempi storici e con pacatezza, le ragioni dell’opposizione al riarmo: «non bisogna mollare di un millimetro» – diceva.
Una sua creatura cui teneva particolarmente è ancora tra di noi: si chiama Carmilla, è una rivista politico-letteraria molto seguita che prende il nome dalla vampira uscita dalla penna di Sheridan Le Fanu. Lo scrittore ne è stato direttore responsabile fino al suo ultimo giorno di vita. Nata in versione cartacea nel 1995 si trasforma in webzine dopo qualche anno. Ospita recensioni, romanzi a puntate, pezzi umoristici, reportage, articoli di teoria politica, sociologica e filosofica; interventi di scrittori e scrittrici d’opposizione, di attivisti, di ricercatori e di altri sostenitori della via fantastica al comunismo.
Per sottolineare l’importanza dell’immaginario nella lotta politica, in una prefazione al Tallone di Ferro di Jack London, ricordò come i comandanti partigiani non mancassero mai d’includere questo libro di fantascienza sociale tra le opere da leggere tra un’azione e l’altra. Sono sicuro che negli zaini e negli smartphone dei partigiani del futuro ci sarà sempre un libro di Valerio Evangelisti.
*Luca Cangianti è autore di romanzi storico-fantastici e redattore della rivista Carmilla