1992, ricordare fa bene.

di Beppe Severgnini

«1992» non è solo il titolo di una serie televisiva (Sky). Non è anche l’anno di nascita di mio figlio (Antonio). È la datazione di un’illusione: l’Italia, in quel momento, voleva cambiare. Un’illusione durata poco. Abbiamo imparato a protestare, a indignarci, a illuderci ogni tanto. A cambiare, non ancora.
Nel 1992, quand’è esplosa Tangentopoli, lavoravo a il Giornale con Indro Montanelli, venivo da tre anni in cui avevo visto rovesciarsi il mondo: Europa dell’Est, Russia, Cina.

Sembrava che in Italia fossimo sulla stessa strada. Sembrava che avessimo capito: non potevamo pretendere servizi occidentali con una corruzione mediorientale. Avevo 35 anni. Come tanti coetanei e colleghi, ero ottimista. Dicevamo a Montanelli: cambia tutto! Lui ci guardava e sorrideva: «Alla vostra età avete il dovere di illudervi. Ma, alla mia, ho il dovere di avvertirvi: cambierà poco».
È andata così. È cambiato poco. Qualcuno dice: nulla.
La serie televisiva di Sky, «1992», racconta com’è nata quell’illusione. Ci aggiunge sesso, battute e melodramma. Ma centra il bersaglio, come ha riconosciuto Claudio Martelli sul Corriere di sabato 4 aprile. Gli anni Ottanta avevano trasformato la corruzione da episodio patologico a normalità fisiologica, che manteneva la politica, arricchiva i politici, appesantiva la spesa pubblica. Un gruppo di magistrati di Milano intervenne, mescolando codice penale, senso civico e protagonismo: così nacque l’operazione «Mani Pulite». Bossi e la Lega la cavalcarono e, all’inizio, la protessero. Silvio Berlusconi, perduto l’appoggio dei socialisti plurinquisiti, si spaventò, si mise in proprio e fondò Forza Italia. Il resto, più o meno, lo sappiamo.
Un riassunto semplicista? Forse. Ma a un ragazzo, oggi, non puoi spiegare le ingenuità dei referendari o il cinismo diabolico di Marcello Dell’Utri. Devi aiutarli a capire, però. Una cosa su tutte: «Mani pulite», con i suoi eccessi, fu un tentativo collettivo di cambiare. Non un golpe giudiziario, come sostiene qualcuno, preoccupato di proteggere i propri protettori. I quali, grazie a questa confusione, continuano imperterriti a trafficare, a imbrogliare, ad arricchirsi. Gli sprechi osceni della Maddalena, dell’Aquila e del Mose di Venezia lo dimostrano.
Una serie televisiva è una serie televisiva. Tautologia necessaria, perché qualcuno insiste per prenderla come un resoconto storico. È chiaro che l’imprenditore Mainaghi è la sintesi di alcuni personaggi finiti tragicamente. È evidente che non c’era una bella signorina pronta a spogliarsi pur di arrivare in tivù (ce n’erano molte di più!). È ovvio che Mario Segni non sia stato spaventato da tre escort in un ristorante (anche perché non le avrebbe riconosciute). Ma la serie televisiva «1992», ripeto, è efficace. «Quelle erano le ragioni e quella era Milano» potremmo dire, parafrasando Leonard Cohen (Chelsea Hotel n.2).
Anzi: Sky dovrebbe proseguire su questa strada. Quante cose da raccontare nelle serie televisive «1993» e «1994»! Un’Italia in burrasca che ho visto da vicino e da lontano. Alla Voce , dove ci siamo rifugiati con Montanelli dopo la «discesa in campo» di Berlusconi. Da Londra, dov’ero distaccato all’ Economist . Da Washington DC, dov’ero andato come corrispondente. Quante volte ho cercato di spiegare agli inglesi, agli americani e agli stranieri che non dovevano condannarci frettolosamente. Tangentopoli era la malattia, Mani pulite la brutale terapia: dimostrava, se non altro, che volevamo curarci.
Cercavo di convincere loro per convincere me stesso. Temevo, infatti, che l’indignazione civile diventasse rissa politica; che s’alzassero le cortine di fumo interessato; che l’Italia, confusa, dimenticasse presto tutto.
Dimenticasse i nomi dei politici e degli amministratori corrotti, sui cui arricchimenti personali sappiamo ancora poco.
Dimenticasse i corruttori, che falsificavano la concorrenza e costringevano altri imprenditori a scegliere: pagare o soccombere.
Dimenticasse i media servili o faziosi, l’opinione pubblica volubile, i magistrati passati in politica con troppa disinvoltura, alimentando sospetti.
Dimenticasse che avremmo potuto essere diversi, ventitré anni dopo: e invece siamo in ansia e in pena per le stesse cose.
Ecco perché «1992», la serie televisiva è una buona cosa. Aiuta la nazione senza memoria a ricordare. Non è poco, credetemi.
@beppesevergnini