Whirlpool, tensione a Napoli Spunta un’alternativa agli Usa

Gli operai occupano la stazione. Invitalia tratta con aziende italiane per il rilancio
di Marco Patucchi
ROMA — “L’Italia che resiste” canta da quarant’anni Francesco De Gregori. «Noi siamo l’Italia che resiste», urlavano ieri le operaie e gli operai della Whirlpool che hanno occupato la stazione Centrale a Napoli prima di dirigersi in corteo verso la Regione. «Governo dove sei? Governo dove sei?…», cantavano in coro.
Il governo è a Roma dove cerca di recuperare oltre un anno di tempo perduto e di costruire un futuro per le quasi 400 famiglie che vivono del lavoro della fabbrica di lavatrici di via Argine, chiusa dalla multinazionale Usa (gli ingressi dello stabilimento sono serrati da fascette di plastica blu). Un anno perso perché Whirlpool aveva annunciato il disimpegno, senza se e senza ma, nell’autunno scorso e c’era tutto il tempo non tanto per provare a convincerla a ripensarci, quanto a trovare soluzioni alternative per la sopravvivenza dello stabilimento diventato ormai simbolo del declino industriale italiano. In teoria il calendario fornisce ancora un margine di manovra al ministero dello Sviluppo Economico, perché Whirlpool, che si è già impegnata a pagare lo stipendio ai lavoratori fino al 31 dicembre, sarebbe ora disposta a prolungare ulteriormente questo periodo di copertura: Invitalia, braccio operativo di Mise e Tesoro, sta cercando di mettere insieme una cordata di imprese italiane che, con una parziale riconversione produttiva, garantiscano il futuro alla fabbrica napoletana: due nomi sono già emersi (Adler e Htl Fitting, aziende della filiera aerospazio con impianti in Campania), ma sarebbero in corso contatti anche con altri gruppi, sempre nazionali, di dimensioni maggiori e presenti in settori limitrofi a quello degli elettrodomestici. Per provare a mettere a terra questo progetto, spiegano fonti vicine al dossier, c’è bisogno di almeno un altro paio di mesi. Si tratterebbe, comunque, di un’ipotesi di reindustrializzazione guidata da soggetti imprenditoriali, considerata più efficace di soluzioni applicate in altre crisi e legate a investimenti di fondi finanziari.
I lavoratori (e i sindacati) continuano però a credere e a lottare per la permanenza di Whirlpool che, in realtà, anche nei colloqui con il premier Giuseppe Conte si è detta irremovibile perché considera economicamente non più competitivo lo stabilimento napoletano (gli altri operativi in Italia sono a Varese, Siena, Ascoli Piceno, Ancona e Caserta per un totale di 5000 addetti). «Inaccettabile dover lottare prima con la politica e poi con la multinazionale», dice Biagio Trapani della Fim. Antonio Accurso (Uil) chiede al governo «di non essere schiavo delle multinazionali », mentre Rosario Rappa (Fiom) avverte: «La vertenza può precipitare in questione di ordine pubblico». E domani arriva lo sciopero dei metalmeccanici per il contratto. «Sono gli operai a tenere aperte le aziende», dice la leader Fiom, Francesca Re David.
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