Vittorini torna a Milano e sale sul tram.

Un tram che conduce gli spettatori dal 1944 a oggi, attraverso una Milano metafisica e al tempo stesso reale. Debutta il 24 ottobre in prima assoluta al Piccolo Teatro Studio Melato Uomini e no che il drammaturgo Michele Santeramo e il regista Carmelo Rifici hanno tratto da uno dei romanzi più discussi di Elio Vittorini. Ambientato a Milano tra la primavera e l’autunno del 1944, il libro, uscito l’anno successivo, racconta le azioni e le storie di un gruppo di partigiani in una città dominata dai nazifascisti e, insieme, l’amore impossibile del protagonista, il partigiano Enne 2, e di Berta, sposata con un altro uomo. Un romanzo quasi in presa diretta, quindi, in una città segnata dalla macerie, tra le quali due anni più tardi nascerà anche il Piccolo Teatro.

Al centro della scena c’è un tram. «Rappresenta il territorio — dice il regista Carmelo Rifici a “la Lettura” — e gli spettatori vivranno la città dall’interno. Abbiamo deciso di aprirlo in due, di spaccarlo per simboleggiare la città ferita e divisa dal nazifascismo». Il teatro uscirà dal teatro nel primo weekend di novembre, quando il pubblico potrà salire su un vero tram che attraverserà la città di oggi toccando alcuni dei luoghi di cui parla Vittorini. Il romanzo è tutto ambientato nel centro, l’azione è racchiusa dentro le porte della città e tocca luoghi simbolo come piazza Duomo o largo Augusto dove si svolge una delle scene più drammatiche del libro, quando Enne 2 e Berta osservano sul marciapiede i cadaveri di quaranta civili uccisi per rappresaglia dai tedeschi. Chi viaggerà sul tram assisterà a letture ambientate nella Milano della guerra, percorsa soprattutto da rotaie e biciclette, mentre fuori dai finestrini vedrà scorrere la Milano di oggi in un cortocircuito che è uno degli effetti che lo spettacolo vuole produrre.

«Ho sempre preferito portare in scena scritture poco frequentate — spiega Carmelo Rifici — anche per cercare di far riscoprire al pubblico autori importanti a volte dimenticati. Uomini e no è un romanzo bellissimo, dalla scrittura importante e pochissimo compreso. L’idea è, anche, mostrare quanto sia cambiata Milano attraverso il linguaggio vittoriniano». Lo spettacolo, una produzione del Piccolo Teatro di Milano, è interpretato da una compagnia di giovani attori che hanno la stessa età dei «giovanotti» descritti da Vittorini. «Mi affascinava — continua Rifici — raccontare la relazione con la città, stabilire un rapporto con il territorio. Operazione tanto più importante quanto più il mondo contemporaneo è caratterizzato dalla dislocazione. L’appartenenza a Milano è un punto di partenza molto importante e il teatro è il luogo adatto per riallacciare questa relazione perduta». Anche perché lo era per lo stesso Vittorini che, nato a Siracusa, scelse la città lombarda e la sentì sua sin da quando, alla fine del 1938, Bompiani lo chiamò da Firenze. «Io non sarò più tranquillo se non saprò d’esserci là dentro, come milanese» scriveva già nel 1933 in una lettera.

Per lo scrittore Milano era il futuro, il cambiamento. «Il linguaggio di Vittorini — sostiene Rifici — ne fa quasi una Milano metafisica, dove l’urbanistica stessa diventa una metafora della condizione dell’uomo. D’altro canto il protagonista, il partigiano Enne 2, è il personaggio che assomiglia di più allo scrittore che, nel libro, entra direttamente, nelle parti in corsivo». La Milano di Uomini e no è anche fatta di macerie che però in scena non si vedranno. Aggiunge il regista: «Le porteremo al pubblico attraverso le parole. La scenografia a teatro può essere problematica quando è invasiva».

Lo sguardo di Vittorini sulla città è quello che il drammaturgo Michele Santeramo ha cercato di riprodurre: «Uno sguardo di stupore che ho voluto tenere nelle parti più epiche, corali», confida. E su due parole in particolare, suggerite dalle atmosfere del romanzo ha lavorato Santeramo: « Ingenuità e tenerezza mi sono sembrate le caratteristiche fondamentali dei protagonisti, che emergono con forza nonostante il contesto drammatico della guerra. Qualità che oggi hanno spesso un’accezione negativa, che vengono fatte coincidere con la debolezza». La giovane età dei protagonisti, ri-specchiata da quella dei giovani attori professionisti che interpretano lo spettacolo, trova la sua epifania nell’acerbità dei sentimenti. «I giovani di oggi — dice Santeramo — non sono molto dissimili, vivono in maniera sopita, meno esplicita le stesse condizioni emotive». Il senso è riscoprire, attraverso Vittorini, «la meraviglia che appartiene ai rapporti umani, all’amicizia, all’innamoramento. Lo scrittore la coglieva in un’epoca così complessa come è stata la prima metà del Novecento e oggi a volte sembra perduta».

Riscrivere drammaturgicamente Uomini e no ha significato per Santeramo restituire alcune peculiarità della prosa di Vittorini, per certi versi sperimentale e anticipatrice delle avanguardie pur in un generale impianto realistico. «C’è una costruzione della frase per cui spesso i personaggi affermano e subito dopo domandano, a cercare una conferma». Gli interventi dell’autore che nel romanzo sono in corsivo sono diventati pensieri del partigiano Enne 2 o del capo fascista Cane Nero. «Ho dovuto nutrirmi di quello che leggevo per poi dimenticarmene e fare riemergere quelle considerazioni in modo diverso. Come nel dialogo finale tra Cane Nero e Enne 2 che nel libro non c’è». Riscrivere un romanzo drammaturgicamente per Santeramo significa entrare nel testo con una lampadina: «Ho sempre l’impressione che la scrittura per il romanzo sia esplosa, mentre nella drammaturgia è implosa. Tutto ciò che è disseminato altrove deve rientrare nell’azione, nel dialogo».