Video e liste di nomi Il sistema del legale che ha «svelato» la loggia Ungheria

di Fiorenza Sarzanini

 

Intercettazioni, verbali, informative di polizia giudiziaria: sono gli atti che lo vedono protagonista come indagato in numerose procure italiane a rivelare il «sistema Amara». Una rete di relazioni con faccendieri, imprenditori, funzionari dello Stato, magistrati, che negli ultimi anni lo ha visto protagonista della gestione di nomine e affari. Fino al 2016. È quello l’anno in cui la stella di Piero Amara, potente avvocato siciliano nato ad Augusta, smette di brillare. Il 23 dicembre di cinque anni fa otto pubblici ministeri (su undici in servizio) della Procura di Siracusa denunciano ai colleghi di Catania, al ministero della Giustizia e al procuratore generale della Corte di Cassazione, «gravi anomalie nella gestione di alcuni fascicoli pendenti presso la Procura» perché «soggetti portatori di specifici interessi economici e imprenditoriali dimostrano una preoccupante attitudine a orientare a proprio favore l’azione della Procura, rendendo fondato il timore che parte dell’ambiente giudiziario non sia immune a tale forza di infiltrazione». Parlano di Amara e del suo socio Giuseppe Calafiore, legali esterni dell’Eni al centro di un intrigo che le successive indagini hanno svelato nella sua conseguenza più clamorosa: un complotto organizzato, addirittura attraverso un finto sequestro di persona, per spostare l’inchiesta sull’Eni da Milano a Trani o a Siracusa, dove pm amici avrebbero indirizzato le indagini nella direzione voluta da Amara e Calafiore.

Nel 2018 vengono entrambi arrestati per corruzione. Amara rimane in carcere cinque mesi e intanto è indagato nell’inchiesta sulla corruzione dei giudici del Consiglio di Stato. Tra gli intermediari nei rapporti di corruzione è l’imprenditore Fabrizio Centofanti, lo stesso che a Perugia è accusato di aver corrotto l’ex pubblico ministero Luca Palamara. Il racconto delle vacanze a Dubai e in lussuosi hotel italiani diventa materia di indagine. Fino a quando — siamo nel dicembre 2019 — Amara decide di passare dall’altra parte e da accusato si trasforma in accusatore.

Rivela l’esistenza della «Loggia Ungheria». Parla di politici, imprenditori, vertici delle forze dell’ordine, magistrati componenti di una presunta congrega massonica in grado di scegliere le persone nei posti di potere e così orientare affari milionari, ma anche condizionare inchieste. Sostiene di avere una lista di 40 nomi, «mentre l’elenco completo è stato portato all’estero da Calafiore». Firma dieci verbali e si dice pronto a collaborare ancora. Sono i magistrati di Perugia guidati da Raffaele Cantone a gestirlo. Di fronte a loro diventa testimone d’accusa contro Palamara, imputato di corruzione. E svela «due canali di informazioni rispetto alle indagini che lo vedevano indagato presso le Procure di Roma e di Messina, entrambi a lui veicolati e “creati” per il tramite di Fabrizio Centofanti, in forza del rapporto di amicizia tra questi e Luca Palamara».

Nomine e affari

È stato al centro di una rete

di relazioni con faccendieri

e funzionari dello Stato per

la gestione di nomine e affari

In una memoria depositata subito dopo l’interrogatorio di Amara, gli inquirenti spiegano che quei «canali» sarebbero due magistrati potenzialmente informati sulle inchieste a carico di Amara e Centofanti, i quali s’incontravano con Palamara attivando il meccanismo svelato dall’avvocato: «La “fonte” parlava con Palamara e questi rivelava le notizie all’amico Centofanti che, a sua volta, le divulgava ad Amara fornendogli, in tal modo, elementi utili alla loro difesa e alle scelte difensive conseguenti». Prima di utilizzare le parole di Amara, la Procura di Perugia ha svolto accertamenti che hanno consentito di «trovare numerosi riscontri».

Il testimone ritenuto almeno in parte «attendibile» adesso è di nuovo in carcere. Prima di parlare della «Loggia Ungheria» aveva rivelato al suo avvocato Salvino Mondello di aver «deciso di chiudere tutti i conti in sospeso», dopo aver patteggiato una pena di 3 anni e otto mesi. E di avere registrazioni audio e video «per dimostrare che dico la verità». Materiale che Amara sostiene di aver custodito in luoghi segreti, lasciando intendere di essere pronto a metterli a disposizione dei magistrati. L’ultima carta che potrebbe adesso giocare in questa nuova e delicata partita.

 

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