Vecchia e codarda L’Europa sarà africana e cinese

di Sara Gandolfi

 

Arturo Pérez-Reverte è un uomo che ha visto orrore, morte e tanta bellezza, viaggiando per il mondo, come reporter di guerra e poi come scrittore di bestseller planetari. È un grande narratore — «un artigiano che lavora otto ore al giorno, come un impiegato d’ufficio» — e un critico pungente di tutto ciò che non gli va a genio (2,3 milioni di follower su Twitter). Un signore di settant’anni (li compirà il 25 novembre) che continua a dispensare lampi di seduzione alle dame e sguardi d’intesa ai cavalieri, all’hotel Palace di Madrid dove lo incontriamo, come succedeva ai tempi del Siglo de Oro, il periodo di massimo splendore della sua Spagna, tra 1492 e 1681, che ha fatto conoscere con la sua penna a milioni di lettori. Nella sua generosa bibliografia è nascosta una piccola perla, un racconto finora inedito in Italia, adesso pubblicato da Solferino, Occhi azzurri.

L’idea nasce osservando un murale di Diego Rivera a Città del Messico…

«Non mi ero mai fissato su quel dettaglio: nel mezzo della barbarie dei Conquistadores e dei missionari c’è una donna india che porta sulle spalle un bambino con gli occhi azzurri. La scoperta mi stupì, mi commosse. Una civiltà era distrutta, sostituita da un’altra — dal mio punto di vista migliore — ma a dispetto del male fatto, in quegli occhi c’era la nascita dell’America, il mestizaje, la razza mista. Ho subito capito che da quel dettaglio poteva nascere una bella storia».

Siamo a Tenochtitlán, capitale dell’Impero atzeco, nella «Noche Triste» del 30 giugno 1520 in cui le truppe di Hernán Cortés, costrette a una fuga precipitosa, furono in gran parte sterminate. Un simbolo?

«Già. Nel XVI secolo un manipolo di 300 spagnoli, affamati e disperati, s’insinua nell’impero che dominava il Messico. Ottengono oro, ricchezza, il trionfo. Ma quella notte il mondo crolla loro addosso. Combattono per riuscire a tornare in Spagna, con l’oro. Questa disperazione, il coraggio e il valore di quegli uomini, tutta la bellezza e l’atrocità della conquista dell’America passano da quella notte»

L’America e la «civiltà nuova» nacquero da donne violentate e dal genocidio di un popolo . Era inevitabile?

«Non fu genocidio. Una civiltà attaccò un’altra e si mescolò con questa, con tutta l’oscurità e la luce che gli incroci di civiltà portano con sé. In Messico, molti spagnoli sposati con indigene diedero il proprio nome ai figli meticci. A me, come spagnolo, dà fastidio che si parli di genocidio spagnolo quando il vero sterminio degli indigeni fu in Nord America. C’è una canzone dei Tigres del Norte, un gruppo folklorico messicano, che dice: “Tra coraggiosi guerrieri, indiani di due continenti, misti con lo spagnolo… Siamo più americani del figlio dell’anglosassone”. È la verità. Non nego l’orrore, l’ingiustizia, la violenza, la schiavitù… ma da tutto questo uscirono cose buone: università, donne molto belle, uomini coraggiosi e affascinanti».

Non le piacciono gli anglosassoni? Cosa pensa dei collegi in Usa e Canada dove assimilarono con la forza i bimbi indigeni?

«Come spagnolo che ha letto la storia detesto gli anglosassoni. I più arroganti, spietati, crudeli colonizzatori. Forse solo i tedeschi in Namibia furono altrettanto feroci. Il disprezzo con cui gli anglosassoni hanno trattato gli altri popoli è insultante. Il colonizzatore spagnolo — insisto — ha fatto errori, commesso violenze e meschinità, come il portoghese o l’italiano, ma la mentalità mediterranea, latina, che tanto male ci ha portato in molti campi, ha anche diversi aspetti positivi. Soprattutto, l’umanità. La prova è che ci siamo mescolati ovunque. In Italia sono passati arabi, saraceni, bizantini, cartaginesi, normanni… Penso a Napoli, la più bella città del mondo, la mia felicità italiana. Gli anglosassoni, invece, hanno questa specie di disprezzo crudele. Non posso perdonare tanta arroganza».

Però costruirono un impero che è durato secoli mentre quello spagnolo è finito in nulla. Quello italiano anche peggio…

«Senza dubbio. Noi non siamo capaci di costruire imperi. Siamo bravi a creare incroci interessanti. Ad avere figli e nipoti e bisnipoti belli, intelligenti, vispi, sessualmente interessanti, divertenti, vitali. E siamo più felici».

Un problema culturale?

«Tutto viene dalla cultura. Il nostro è un mare vecchio e saggio, da cui vengono gli dei, l’alfabeto, l’olio d’oliva, il vino rosso, le leggende. Non avremmo mai potuto colonizzare come hanno fatto gli anglosassoni. Noi non possiamo disprezzare un altro mondo, perché noi stessi siamo meticci. Per noi il sangue misto non è una macchia. Non ci sono razze inferiori. L’Italia ha perseguitato gli ebrei perché Mussolini doveva farlo, ma gli italiani non avevano alcun problema con gli ebrei. Gli anglosassoni, invece, hanno connaturata questa certezza di superiorità, alla base della loro colonizzazione. È quello che ci separa».

Meno male che la Conquista la fece Cristoforo Colombo con gli spagnoli, allora?

«Certo. Il mondo non sarebbe stato uguale se l’America fosse stata scoperta dagli anglosassoni o dai cinesi. E attenzione, io non sono un nazionalista. A 70 anni mi restano poche certezze. Una è il disprezzo per gli stupidi, più che per i cattivi. Un’altra è l’ammirazione per i coraggiosi, anche se malvagi. Soprattutto in tempi di codardia come questi. Anche l’Europa è codarda. Sta seppellendo Platone, Aristotele, Cervantes, Dante, Virgilio… Per questo ammiro tanto quel manipolo di spagnoli alla conquista. Solo loro… perché poi sono arrivati funzionari, preti, burocrati e via dicendo».

Il momento eroico…

«Soldati comparabili agli eroi di Omero».

Il protagonista di «Occhi azzurri» è un povero contadino disperato. Perché lui?

«Perché è l’emblema del Conquistador. L’uomo che va alla conquista dell’America non è un hidalgo, potente, a cavallo. È un povero disgraziato che sta arando la terra, sudando come un animale, schiacciato dall’aristocratico, dal re, dal prete, analfabeta. Pensa all’America dove c’è l’oro, donne bellissime, avventure… “O muoio o faccio fortuna”. S’imbarca. E incontra un’indigena. Non tutte furono violentate, molte si accoppiarono con grande piacere e da lì nacque l’America».

L’amante india ha «uno sguardo oscuro, inconquistabile». C’è qualcosa che i Conquistadores non riuscirono a conquistare?

«L’orgoglio. L’indio è molto pericoloso. Quando facevo il reporter in America Latina, ho corrotto un sacco di gente, poliziotti, militari, funzionari della dogana, politici… Sorridevano, eppure se li guardavo negli occhi capivo che non li avevo comprati del tutto. Come giravo le spalle, avrebbero sorriso contro di me. La Spagna non ha spento questo fuoco, al contrario lo ha potenziato».

Ha seguito le guerre anche in Africa…

«L’africano è pericoloso perché è imprevedibile. In un conflitto armato, può fare qualsiasi cosa. Dipende da molti fattori, che come europeo non puoi avvertire. In America Latina, invece, devi guardare negli occhi le persone, e capire quando stare attento. Mi piace la gente pericolosa, s’impara molto da loro perché sono più vicini alla vita reale. Dalla gente buona s’impara poco. Ho passato vent’anni della mia vita in Paesi dove sono stato testimone di violenze indicibili e ora che mi guardo indietro capisco che se sono più saggio lo devo a quello che ho visto in guerra».

 

Le manca la prima linea?

«Sì. È la mia gioventù. Oggi non sopravvivrei. Camminare per quaranta chilometri di fila, e sopportare il calore, le zanzare…».

Il soldato di «Occhi azzurri» assomiglia all’africano che oggi cerca l’oro in Europa…

«Certo. Vinceranno loro e se lo meritano. Perché hanno fame, sono disperati, hanno coraggio e voglia e forza. Sono vivi. Mentre l’Europa è vecchia, decadente, codarda. Ci vorrà ancora un secolo, forse. Ma come avvenne per l’Impero romano, l’Europa sarà un cadavere squartato dai nuovi barbari cinesi e africani. È il ciclo della storia».

Parliamo di Cina, allora…

«Sta vincendo una nuova visione del mondo che mi preoccupa. L’Europa è il fulcro culturale da cui emanano l’umanesimo, i diritti umani, la solidarietà. Tutto questo è condannato a morte, ormai. Il mondo non si fonda più su Platone, Aristotele o Montaigne, ma sul credo cinese, e più in generale asiatico: l’essere umano non esiste. Sono formiche rosse, comuniste o meno».

Finiremo tutti schiavi?

«Lo temo. È un neocolonialismo che s’insinua attraverso la tecnologia, l’industria, prezzi economici, investimenti finanziari. Perfino i social network penalizzano l’individualità, il dissidente che non è d’accordo con la tendenza generale è emarginato. Cinquant’anni fa era un eroe, oggi è un appestato sociale».

Le fa più paura questo dell’estremismo?

«L’estremismo, il fanatismo, l’islamismo radicale o il neonazismo… li puoi combattere sparando. Alla vecchia maniera. Ancora si può e si fa. Puoi incarcerarli. Ma questa mentalità no. Non ci sono trincee in cui combattere il neocapitalismo asiatico, il totalitarismo collettivo è ovunque. E le persone non lo identificano come una minaccia perché non è tangibile. Il cinese, il taiwanese, il giapponese ti sorride, mette soldi nella tua impresa ma intanto ti sta mangiando l’anima. E noi finiamo per essere complici».

L’Europa non può reagire?

«È tardi. Hai visto la gente che sta a Bruxelles… questi analfabeti spagnoli, francesi, italiani? Sono loro a dettare le norme dell’Europa del futuro, come si può essere ottimisti?».

Suona un po’ populista…

«No, non sto facendo un comizio. Alla mia età e con la mia biografia, non cerco il consenso di nessuno. Il fatto è che s’è smarrita l’opportunità di reagire, da vent’anni l’Europa delle idee è morta. Parlo di cultura, parlo di mancanza di modelli intellettuali ai quali ispirarsi. Senza Dante e Virgilio e Platone e Senofonte e Tacito e Cervantes e Montesquieu e Goethe…».

Nessun autore contemporaneo…

«Degli ultimi vediamo… (lunga pausa)… Camus… (ride)… no… Mann, Brecht, Pietro Germi… Tutti i contemporanei in fondo sono note a piede di pagina. Il mondo sarebbe lo stesso se non fosse esistito Fellini o Pérez- Reverte, con le debite differenze, ma non sarebbe lo stesso senza Cervantes o Dante».

Quali volumi porterebbe con sé sull’isola deserta dalla sua biblioteca di 33 mila libri?

«Don Chisciotte, Iliade, Eneide, alcuni saggi di Montaigne e le Memorie d’oltretomba di Chateaubriand. Con questi libri potrei continuare sino alla fine della mia vita».

Prossima fatica?

«El italiano. Esce a settembre. Parla degli incursori italiani che attaccarono Gibilterra durante la Seconda guerra mondiale. Eroi».

 

https://www.corriere.it › la-lettura