“Risposta immunitaria” nella sperimentazione a Oxford e in Cina I pazienti sviluppano misure contro il virus con pochi effetti collaterali
di Elena Dusi
Due vaccini contro il coronavirus e due buone notizie. Gli inglesi di Oxford e i cinesi di CanSino ci lavorano da gennaio a testa bassa. E ieri entrambi hanno pubblicato i risultati dei loro prototipi di vaccini sulla rivista medica The Lancet. Fra il 90 e il 100% dei volontari cui sono stati somministrati in via sperimentale hanno sviluppato una risposta immunitaria (la quota varia a seconda delle dosi iniettate). Il sistema immunitario, cioè, ha reagito allestendo una difesa contro un eventuale contatto con il coronavirus. Effetti collaterali: braccio arrossato e al massimo qualche linea di febbre. Il premier inglese Boris Johnson saluta la notizia come «molto positiva». L’Organizzazione mondiale della sanità fa i complimenti agli scienziati. Il nostro ministro della Salute Roberto Speranza commenta: «Serve ancora tempo e prudenza. Ma i primi riscontri sul vaccino dell’Università di Oxford, il cui vettore virale è fatto a Pomezia e che verrà infialato ad Anagni sono incoraggianti». E già si fanno progetti: fiale già in produzione alla Catalent di Anagni, la promessa di un milione di dosi a settembre per gli operatori sanitari, vaccinazione più allargata a partire dal 2021.
Tutto perfetto? Restano due incognite. A sollevare la prima è la stessa Sarah Gilbert, la scienziata di ferro a capo del team di Oxford. Lei e il suo Jenner Institute oggi sono in pole position, nella corsa a un vaccino che vede impegnati 160 laboratori nel mondo. All’iniezione sperimentale ha sottoposto anche i suoi tre gemelli di 21 anni (fu il marito a lasciare il lavoro per crescerli). La risposta immunitaria c’è, ha spiegato. «Ma non sappiamo quanto questa risposta debba essere forte per proteggere in maniera efficace contro il Sars-Cov-2». Il vaccino ci fornisce soldati contro il coronavirus. Ma saranno sufficienti, e sufficientemente armati, per sconfiggere il nemico? La sperimentazione di Oxford non l’ha misurato.
La seconda incognita riguarda il tempo. «Non basta suscitare una risposta immunitaria. Questa risposta deve essere duratura », aveva fatto notare il virologo Robert Gallo, fra gli scopritori dell’Hiv, in una nostra intervista. «Ma per sapere quanto persista, dobbiamo aspettare che il tempo passi. Non c’è altra soluzione», conferma Andrea Cossarizza, immunologo dell’università di Modena e Reggio Emilia, fra i più impegnati oggi nella lotta al Covid.
Solo di recente, per esempio, abbiamo visto che chi guarisce dal coronavirus ha un calo degli anticorpi già dopo due-tre mesi. Si sperava che durassero di più. «Ma l’osservazione non ha implicazioni per il vaccino», rassicura Cossarizza. «La risposta immunitaria suscitata dalla malattia è diversa da quella del vaccino. Solo il tempo ci dirà quanto duratura sarà la protezione di quest’ultimo, e se saranno necessari richiami ». Nel caso di Oxford, due mesi dopo la somministrazione erano ancora presenti anticorpi. «E molto importante — fa notare Cossarizza — è che il vaccino abbia attivato un altro attore fondamentale del sistema immunitario, le cellule T». Non una, dunque, ma due brigate diverse di soldati si sono preparate alla battaglia. «È una buona premessa, anche se non una risposta definitiva sull’efficacia del vaccino».
L’Italia, per accorciare i tempi, a metà giugno ha stretto un accordo con AstraZeneca — l’azienda farmaceutica che si occuperà materialmente della produzione — per 400 milioni di dosi da dividere con Francia, Germania e Olanda. La sperimentazione di oggi ha riguardato 1.077 volontari in Gran Bretagna (solo metà, scelti a caso, ha ricevuto il vaccino). Altre 10 mila persone stanno partecipando a ulteriori test in Brasile e Sudafrica, 30 mila saranno arruolate negli Usa. Gli scienziati inglesi temevano che l’epidemia nel loro paese si fosse ridotta troppo, e che senza circolazione del coronavirus fosse impossibile misurare l’efficacia del vaccino. L’esplosione di contagi nel mondo, almeno su questo punto, li fa stare sicuri.