Unicredit apre al governo su Mps ma vuole una dote sopra i 6 miliardi

Orcel avvia il negoziato in esclusiva e chiede una serie di garanzie sull’acquisto
di Andrea Greco
MILANO — Dopo un anno di trattative Unicredit, con accelerazione da pochi attesa, irrompe verso l’acquisizione del Monte dei Paschi. Ieri il cda della banca guidata da Andrea Orcel ha concordato con il Tesoro, azionista senese al 64%, «i presupposti per il potenziale trasferimento di un perimetro selezionato di attività Mps a Unicredit», e avvierà un negoziato esclusivo, da chiudere «nel giro di 40 giorni», se la perizia al via darà i suoi frutti.
Una mossa opportunistica che consente a Unicredit, che oggi presenterà una trimestrale al bacio, di negoziare una dote pubblica che si stima superiore ai 6 miliardi spuntati dal passato management nel 2020 nel negoziato. Sempre oggi, infatti, Mps uscirà dagli stress test europei con un deficit patrimoniale vicino ai i 2 miliardi. L’operazione, riporta una nota di Unicredit, «permetterebbe di accelerare i piani di crescita organica e agevolare il raggiungimento di ritorni sostenibili sopra al costo del capitale». Il perimetro, benché non ancora definito, è indicato in «circa 3,9 milioni di clienti, 80 miliardi di euro di crediti, 87 miliardi di euro di depositi, 62 miliardi di euro di masse in gestione e 42 miliardi di euro di masse amministrate ». In pratica, una parte selezionata, che la perizia dirà quanto grande, della rete commerciale (nel bilancio 2020 Mps aveva crediti per 92 miliardi), mentre non sarebbe compresa la direzione generale a Siena.
«Liberare l’enorme valore che Unicredit ha al suo interno continua a essere la nostra priorità. Tuttavia, sono sempre stato chiaro sul ruolo che le aggregazioni potrebbero giocare come acceleratore in grado di migliorare i risultati strategici, sempre nel pieno rispetto dell’interesse dei nostri azionisti», ha detto Orcel. Quasi una giustificazione rispetto ai segnali di disinteresse sul dossier filtrati dopo gli ultimi contatti tra il banchiere romano e il Tesoro. Evidentemente le concessioni del governo lo incoraggiano: «L’accordo con il governo italiano su alcuni requisiti, ovvero la neutralità in termini di capitale, un accrescimento significativo dell’utile per azione, la protezione dai contenziosi legali e l’esclusione dei crediti deteriorati da qualsiasi transazione, ha costituito per noi la base per entrare nella negoziazione esclusiva, in cui eseguiremo analisi dettagliate e verificheremo se definire una transazione che soddisfi i parametri concordati». Un’altra condizione, citata in una nota Unicredit, riguarda «l’accordo sulla gestione del personale in funzione del compendio », e che, come detto da Orcel agli operatori potrebbe diminuire. C’è poi, non citato ma ormai legge con il decreto Sostegni bis, l’aiuto da 2,9 miliardi di euro in patrimonio che Unicredit otterrebbe integrando Mps entro il 2022, trasformando attivi fiscali differiti (le “Dta”) in crediti fiscali. La trattativa agostana dovrà insomma planare su una “dote” pubblica sufficiente perché Unicredit. Almeno mezzo miliardo per azzerare i rischi legali, i soldi per appianare lo sbilancio contabile di sofferenze e incagli Mps, gli scivoli per i dipendenti a Siena, che ha nel piano attuale 900 esuberi non spesati. Il conto è in ascesa.L’arrivo di Orcel, il 15 aprile, era collegato anche alla volontà dei soci italiani di Unicredit di riprendersi in Italia, dove la banca nel 2020 ha guadagnato solo 8 milioni di euro, cedendo terreno non solo a Intesa Sanpaolo, ma alle inseguitrici Banco Bpm e Bper. «L’operazione permetterebbe di rafforzare il posizionamento competitivo in Italia scrive ancora Unicredit – e in particolare nel Centro-Nord (dov’è il 77% degli sportelli Mps), contribuendo a una crescita della quota di mercato in Toscana del 17%, in Lombardia e in Emilia Romagna del 4% e in Veneto dell’8%».
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