Un’altra Firenze o un’altra crisi capitale

1870-2020

di Enrico Nistri

L’emergenza Coronavirus presenta il merito, se così può dirsi, di sollecitare un confronto sul futuro sviluppo di Firenze. È un confronto non facile perché sulle prospettive della pandemia l’atteggiamento più onesto è quello, socratico, di chi sa di non sapere, o di sapere pochissimo. Se in Francia si dà per scontata la prospettiva di non poter svolgere d’estate gli esami di baccalaureato, è evidente che la crisi non sarà di breve durata.

È diffusa la speranza che il crollo dei flussi turistici conseguente alla pandemia possa indurre al ripensamento di un modello di sviluppo incentrato sullo sfruttamento dell’industria del forestiero e a un ripopolamento del centro da parte dei fiorentini.

Il crollo del mercato degli Airbnb potrebbe indurre molti proprietari a riconvertire alloggi destinati a locazioni turistiche in appartamenti da affittare ai residenti. È una prospettiva non irrealistica, anche in considerazione di un altro fattore. Molti fiorentini si sono trasferiti dal capoluogo a località dell’hinterland anche per la disponibilità di buoni collegamenti ferroviari, che consentono di raggiungere Santa Maria Novella o altre stazioni in tempi più rapidi di quelli necessari all’attraversamento della città. Oggi i vagoni fanno paura, perché il sistema di riscaldamento o di refrigerazione ad aria, con i vetri sigillati, lascia temere un facile veicolo al contagio.

La conversione degli alloggi adibiti ad affitti turistici in appartamenti destinati a locazioni a lungo termine comporterà comunque inconvenienti da non trascurare. Chi ha ristrutturato come B&B immobili di proprietà, magari accendendo un mutuo, ha impegnato notevoli capitali, in certi casi rendendo meno fruibile l’immobile per un nucleo familiare. Spesso il bagno matrimoniale è stato soppresso e alcune stanze sono state ridotte di dimensioni per assicurare a ogni camera una toilette, magari non «finestrata», per utilizzare il gergo degli agenti immobiliari. Una spesa controproducente, perché non a tutti fa piacere lavarsi in uno sgabuzzino senza nemmeno una finestra.

Occorre aggiungere che la bolla speculativa che ha espulso molti fiorentini dal centro non è frutto solo dell’opportunismo dei padroni di casa: vi hanno inciso anche l’altissimo costo della messa a norma di un immobile e, come ha ricordato Mario Razzanelli, l’incertezza del diritto in materia di locazioni, che comporta, anche nel caso di inquilini morosi, l’impossibilità per il proprietario di ottenere il rilascio dello stabile in tempi accettabili. Tutti i proprietari, probabilmente, sarebbero felici di assicurarsi una rendita garantita affittando lo stabile per un periodo di lunga durata piuttosto che sudarsi un reddito misto di lavoro, di impresa e di capitale come è quello di chi affitta camere o appartamenti per brevi periodi.

Sotto questo profilo, tutto lascia paventare un peggioramento della situazione nei prossimi mesi, col crollo dei ricavi turistici e del vastissimo indotto legato alle università statunitensi. Una famiglia caduta in povertà dovendo stabilire un ordine di priorità continuerà a pagare la ricarica del cellulare, la bolletta della luce e dell’acqua, la rata della macchina, tutti beni o servizi che verrebbero sospesi o pignorati in breve tempo. Per ultimo, conoscendo i tempi biblici degli sfratti, pagherà l’affitto. Scontiamo in questo la leggerezza con cui negli ultimi anni si è fatto ricorso al credito al consumo. Quando per pubblicizzare un’auto non si indica il costo totale, ma solo quello di una rata, qualcosa non torna.

Discutiamo, dunque, sul futuro di Firenze, ma senza indulgere a soverchie illusioni. La città del Giglio rischia di attraversare una crisi analoga a quella che conobbe un secolo e mezzo fa, quando la capitale si spostò a Roma e ai fiorentini rimasero solo gli occhi per piangere, tanto che anche a Giovanni Poggi venne intentato un ingeneroso processo. La fuga dei cinesi potrebbe fare danni non inferiori alla partenza dei piemontesi.

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