Una sconfitta entusiasmante

Nina Turner, considerata erede di Bernie Sanders, ha perso per la seconda volta le primarie di Cleveland. Ma rilancia la sua sfida all’establishment democratico

Seguire a Cleveland l’ultima settimana della campagna elettorale dell’ex senatrice dell’Ohio e carismatica erede naturale di Bernie Sanders Nina Turner, è stato entusiasmante. Lo è stato indipendentemente dal fatto che Turner abbia perso per la seconda volta in meno di un anno le primarie democratiche contro l’attuale deputata al Congresso Shontel Brown, vincitrice del seggio per l’undicesimo distretto dell’Ohio nell’elezione speciale del 2021, tenutasi in seguito all’ingresso nell’amministrazione Biden della precedente detentrice Marcia Fudge.

Lo è stato indipendentemente anche dal fatto che i 4.000 voti di vantaggio ricevuti da Brown lo scorso agosto siano diventati circa 22.000, doppiando quelli di Nina in un apparentemente umiliante 66 a 33 per cento, a dispetto di una grassroot campaign condotta senza limiti di fatica e di tempo da una nutrita squadra per molta parte costituita da volontari e animata dalla convinzione che prima o poi la tenace lotta dal basso del Freedom Fighters Movement, come lo chiama Nina, porterà i suoi risultati.

Nina Turner non aveva dubbi che anche quest’anno la macchina dei soldi e del fango avrebbe colpito duro come nel 2021, quando l’establishment democratico aveva scelto la presidente del Cayahuga County Council, Shontel Brown, non tanto per le sue qualità politiche ma perché pronta a fare di tutto pur di arrivare a Washington, compreso chiedere denaro a potentissimi gruppi di destra pro-israeliani e acconsentire alla falsa propaganda denigratoria contro la sua avversaria.

E il copione si è di fatto ripetuto, sebbene con alcune varianti, rendendo nuovamente l’irrisorio gruppo degli elettori delle due candidate (poco più di 66.000 persone) l’emblematico microcosmo nel quale l’establishment del Partito democratico ha combattuto la sua guerra nazionale, senza esclusione di colpi e senza badare a spese, contro il progressismo autentico, grazie ai  milioni di dollari investiti dai già noti finanziatori più la new entry di miliardari possessori di criptovalute, da quest’anno in campagna acquisti per assicurarsi politici che a Washington ricambino i loro favori.

Essere sul luogo non solo mi ha permesso di entrare più volte in diretto contatto con Nina e di vivere alcuni giorni da attivista, ma anche di constatare l’indifferenza e l’ignoranza politica della maggior parte della gente e di vedere Shontel Brown all’opera in una campagna elettorale basata sulla menzogna. Cavallo di battaglia dei suoi comizi era il millantato merito di aver lavorato con Joe Biden sul Bipartisan Infrastructure Bill – la cui approvazione è stata la morte e sepoltura del Build Back Better Plan – per far arrivare in Ohio 1.900 bilioni di dollari per migliorare le infrastrutture dello stato. Merito che Shontel poteva vendere tranquillamente visto che quasi nessuno degli astanti, se non quelli direttamente coinvolti nella campagna, aveva la minima idea che quel piano fosse già bell’e pronto quando Shontel è entrata in Congresso: il suo contributo è stato solo aver votato «sì». E poi promesse all’insegna della più piatta banalità, prive di sostanza e senza la citazione di un singolo provvedimento concreto.  Immancabili poi i riferimenti di Brown a Turner, pur senza nominarla, contrapponendo sé stessa alle figure «divisive» e che «diffondono odio». Diretti e molto più diffamatori invece gli spot contro Nina che hanno invaso i media con un rapporto che negli ultimi 15 giorni ha raggiunto il 50 a 1 grazie a un’ulteriore infusione nelle casse di Brown di 3 milioni di dollari di superpacs.

Altro vanto di Shontel è stato l’aver ottenuto l’endorsement del Progressive Caucus del Congresso (Cpc) – la cui presidente Pramila Jayapal è sempre stata una delle più fedeli sandersiane e che l’estate scorsa ha dato a Nina il suo supporto – nel quale Brown era stata accettata dietro sua esplicita richiesta nonostante appartenesse già al gruppo diametralmente opposto della New Democrat Coalition L’endorsement del Cpc ha scatenato moltissime polemiche tra attivisti, giornalisti e blogger indipendenti, storici e intellettuali, che in molti casi hanno parlato di «operazione disgustosa», tanto che ci si aspettava che almeno i sei membri della Squad allargata (Aoc, Omhar, Tlaib, Presley, Bush e Bowman) che avevano votato contro il piano bipartisan sulle infrastrutture, si sarebbero fatti avanti per sostenere Nina Turner.

Speravo di poter chiedere qualcosa a Shontel Brown nell’intervista che Derryl, il suo campaign manager, mi aveva accordato con sicurezza.  Ma immediatamente prima dell’atteso momento, quando Derryl mi ha chiesto per quale testata sarebbe uscita l’intervista e io ho risposto Jacobin Italia, è saltato tutto. «Wait a moment, please», un breve scambio di battute sussurrate tra lui, Shontel e un paio di altri membri dello staff e la questione si è chiusa. «Mi dispiace ma la congresswoman Brown è troppo occupata e non ha assolutamente tempo di concedere interviste».

Il venerdì sera successivo, vale a dire a meno di 5 giorni dal voto, Joe Biden  le ha dato il suo endorsement, solo il secondo finora concesso dal presidente, mentre l’afflusso del big money continuava il suo corso ininterrotto verso le casse di Shontel.

Nina Turner sul Congressional Progressive Caucus

Ho potuto invece parlare con Nina Turner a cui mi premeva soprattutto chiedere lumi sull’endorsement del Progressive Caucus.

Non solo Shontel Brown è entrata nel Congressional Progressive Caucus pur essendo già nella New Democratic Coalition, ma il Caucus le ha recentemente dato il suo endorsement. Ho letto in un articolo di Andrew Perez che nonostante il Green New Deal sia uno dei punti cardine del Cpc, Brown non ha co-sponsorizzato alcune buone proposte di legge della Camera sul climate change per non contrastare gli interessi delle corporation del big oil che la finanziano cospicuamente. Come sono possibili incongruenze di questo tipo?

Non dovrebbero essere possibili. Il Progressive Caucus non dovrebbe accettare e tanto meno dare il suo endorsement a membri di gruppi in contrasto con quelli che dovrebbero essere i suoi principi, come la New Democratic Coalition che è pro-corporation e di progressista non ha niente. E dovrebbe imporre dei requisiti seri prima di accogliere persone a cui poi concede endorsement e soldi. Ma il Congresso è pieno di complicazioni e contraddizioni, e i principi etici contano poco o niente. Shontel Brown non è l’unica che prende soldi dalle corporation a essere membro del Progressive caucus. Ci sono tanti Pinos [progressive in name only] a cui fa comodo passare per progressisti con gli elettori del proprio distretto che non hanno idea di quel che accade dietro le quinte del Congresso e che non vanno a controllare come i loro eletti votano.

E perché il Cpc li accetta?

È tutta una questione di potere e di soldi. Più un gruppo è numeroso più sono i suoi privilegi. Così basta sostenere un’iniziativa o una proposta di legge del Cpc per essere ammessi, anche se lo si fa solo per vantaggi personali. Di solito il progressive Caucus concede il suo endorsement generale ai suoi componenti e uno nominale a chi ne faccia esplicita richiesta. Lo scopo di Shontel era quello e l’ha ottenuto. Le serviva potersi definire  progressista per contrapporsi a me nella campagna elettorale. Infatti quando ha chiesto di entrare nel Cpc? Esattamente il giorno prima della mia candidatura. Le è bastato cambiare idea sul Medicare for All, che non era nel suo programma elettorale dell’anno scorso, ed è stata ammessa.

L’unico endorsement che hai ricevuto dal Congresso è quello di Bernie Sanders. Come si può spiegare il comportamento di Pramila Jayapal, che l’estate scorsa ti ha sostenuta? E come spiegare il silenzio della Squad? Immagino che la cosa sia anche dolorosa.

Certo, in parte lo è. E sono anche convinta che ci sarebbe stato bisogno di una presa di posizione audace e coraggiosa, non tanto per me ma per il bene dell’intero movimento progressista che in questa competizione io rappresento. Però ero anche consapevole che questo ciclo sarebbe stato diverso dall’elezione speciale dell’anno scorso. Sfidare una «incumbent» presenta molti più ostacoli che correre per un posto vacante, quindi sapevo che persone che mi avevano sostenuto l’anno scorso questa volta non si sarebbero fatte avanti, anche perché quest’anno tutti i membri della Camera sono impegnati nella propria rielezione. Come dicevo, i giochi in Congresso sono molto complicati e in un anno elettorale certi comportamenti sono più rischiosi. Non voglio entrare nello specifico di persone che sono mie amiche, ma ci sono davvero tanti fattori in ballo e so che per qualcuno non sostenermi è stata una scelta sofferta. La cosa positiva è che le polemiche hanno già messo in rilievo, anche da parte di Pramila Jayapal, la necessità di discussioni per rivedere le regole del caucus. 

Dalla tristezza all’entusiasmo

A 12 ore dall’apertura dei seggi è poi arrivato l’endorsement per Nina di Alexandria Ocasio Cortez.Nel suo discorso finale della sera del 3 maggio Nina ha confermato, pur senza fare nomi, che nel Congresso sono state fatte minacce pesanti a chi si fosse messo contro la decisione del Progressive Caucus.

Nel locale con musica dal vivo affittato per la serata finale, dai telefonini e computer  sintonizzati sui siti che aggiornavano i risultati in tempo reale si è capito fin dalle prime battute che il vento non era girato nella giusta direzione e che la sconfitta sarebbe stata di quelle pesanti. Quando Nina è arrivata, bellissima in un elegante completo pantalone bianco candido, gli applausi e le acclamazioni sono stati tanti, eppure era difficile stemperare la tristezza e il dolore che pervadeva tutti quanti. Poi tutto d’un tratto scenario e atmosfera si sono capovolti stravolgendo il resto della serata. Estratto il microfono e deposto il telefono, da cui ha letto per i primi cinque o sei minuti, sulla frase «lasciate che parli in modo estemporaneo» Nina si è trasformata dalla composta relatrice di un pur bellissimo discorso, al cavallo pazzo che i suoi sostenitori adorano, quello che si muove e parla sulla scena con la padronanza di Mick Jagger o Tina Turner, mentre l’entusiasmo si impossessava della platea:

Sister Turner non se ne va da nessuna parte. E questo è quello che so, che nello spirito della deputata Shirley Chisholm [la prima afroamericana del Congresso] io sono incorruttibile e sono una leader. Ed è per questo che è arrivato tutto quel denaro, perché là, nelle aule del Congresso, sanno che avrei scosso quell’ambiente di vampiri per conto dei poveri, della classe lavoratrice e della bassa middle class. Ma va bene così perché non riusciranno a contenere la magia di questa ragazza nera, perché questo è quello che farò, porterò questa magia in giro per tutto il paese e lo scuoterò a dovere. 

E, baby, il 2024 sta arrivando! E credo che il grande stato della California abbia qualcosa da dire su quello che sorella Turner dovrebbe fare. Credo che il grande stato dell’Iowa abbia qualcosa da dire su quello che sorella Turner dovrebbe fare. Credo che il grande stato del Nevada abbia qualcosa da dire su quello che sorella Turner dovrebbe fare. E noi vinceremo. Hanno solo rinforzato la mia determinazione. E proprio così come King James, LeBron James, ha deciso di portare il suo talento a South Beach, quello che sister Turner continuerà a fare è portare il suo talento in tutta la nazione. E avrò qualcuno da vedere nel 2024. Restate sintonizzati, perché questo è quello che mi hanno chiesto. Mia madre era solita dire che a volte non si ottiene quello che si chiede. E con tutti questi soldi arrivati qui per sopprimere e calunniare le voci della gente della working class in questo distretto, in questa nazione e in questo mondo, lasciate che vi dica una cosa: non hanno visto ancora niente, non hanno avuto quello che hanno chiesto: sister Turner senza guinzaglio. È quello che volevano e che non hanno avuto, è quel che volevano ed è quello che avranno. E quindi ci vediamo tutti nel 2024…

Sarà una candidatura presidenziale, come tanti attivisti già ipotizzavano nel 2020 formando gruppi «Nina for president 2024»? O un nuovo sostegno a Bernie Sanders che non ha escluso una sua prossima corsa? O un’accoppiata tutta femminile insieme a Marianne Williamson? Staremo a vedere.

*Elisabetta Raimondi è stata docente di inglese nella scuola pubblica. È attiva in ambito teatrale ed artistico, redattrice della rivista Vorrei.org per la quale segue dal 2016 la Political Revolution di Bernie Sanders

 

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