Una rete di società toscane per riciclare i soldi mafiosi

Maxi operazione di Finanza e Direzione distrettuale tra Prato e Palermo: 12 arresti, 60 indagati, 50 milioni di false fatture e un giro d’affari complessivo da 150 milioni
di Andrea Bulleri
Più di trenta «cartiere», società reali o inesistenti che ripulivano i soldi sporchi delle famiglie mafiose siciliane dei Rotolo e dei Tagliavia. Dodici arrestati e 60 indagati, accusati di favorire i traffici di cosa nostra, tra Prato e Palermo. E un giro di denaro che secondo una stima degli investigatori ha superato, tra il 2014 e il 2018, i 150 milioni di euro. Un intreccio possibile grazie a una rete di prestanome e imprenditori compiacenti, che fingevano di acquistare e vendere pedane di legno ( i pallets da cui ha preso il nome l’inchiesta) al solo fine di emettere fatture false, quantificate in 50 milioni.
È scattata all’alba di ieri mattina l’operazione « Golden wood » della Guardia di finanza di Prato e Dda di Firenze. Un’indagine che «dimostra ancora una volta – ha premesso il procuratore capo Giuseppe Creazzo – come la Toscana sia terra d’elezione di tutte le cosche mafiose per quanto riguarda il riciclaggio di denaro di provenienza illecita».
A finire in manette, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare, dodici persone, quasi tutte di origine siciliana, di cui cinque residenti tra Prato e l’hinterland fiorentino. Tra loro Alfonso Domenico Imperiale, 62 anni, titolare della Commercials Imperial Srl con sede a Prato, e Giacomo Clemente detto “ il tuta”, 58 anni, di stanza a Sesto Fiorentino. Entrambi sono finiti in carcere, insieme a Francesco Paolo Clemente – ritenuto il capo dell’organizzazione – e Gaetano Lo Coco (“il ragioniere”), Francesco Paolo Mandalà (“il gemellino”) e Francesco Paolo Saladino. Ai domiciliari invece Santo Bracco, 69 anni, residente a Prato, e Giulia e Vincenzo Rotolo, 25 e 27 anni, entrambi stabiliti a Campi Bisenzio, oltre ai palermitani Filippo Rotolo e Pietro e Leonardo Clemente.
Le accuse a vario titolo sono quelle di riciclaggio, autoriciclaggio, emissione di fatture per operazioni inesistenti, intestazione fittizia di beni, contraffazione di documenti di identità e sostituzione di persona. A tutti, inoltre, viene contestata l’associazione di stampo mafioso.
Secondo quanto ricostruito, obiettivo primario dell’intera organizzazione era quello di riciclare il denaro sporco della cosiddetta “famiglia mafiosa di Corso dei Mille”, capeggiata da Pietro Tagliavia, già condannato per mafia con sentenza irrevocabile. Un nome non nuovo alle cronache toscane: il padre, Francesco Tagliavia, fu condannato all’ergastolo per la strage di via dei Georgofili, oltre che per quella di via D’Amelio. Il legame degli indagati con Tagliavia è emerso con chiarezza da diverse circostanze: solo due anni fa ad esempio, alcuni degli arrestati fornirono al boss un’abitazione a Campi dove scontare i domiciliari, per poi procurargli anche un cellulare con cui comunicare all’esterno.
Il sistema messo in piedi per ripulire il denaro dei Tagliavia e dei Rotolo era semplice. Gli indagati utilizzavano una galassia di 33 società con sede in Toscana, Lazio e Sicilia, 18 delle quali esistenti solo sulla carta. Le imprese, riconducibili a teste di legno o ad affiliati alle cosche, tutte operanti nel settore dei pallets per il carico delle merci, emettevano fatture per vendite mai effettuate a favore di altre società. Queste ultime effettuavano bonifici per gli importi corrispondenti ( che gli indagati chiamavano “ fantasmini”), fornendo così una copertura “legale” al denaro sporco in mano alle prime. Le imprese mafiose poi restituivano in contanti il denaro ricevuto, trattenendo il dieci per cento come commissione. Un meccanismo vantaggioso anche per gli imprenditori dell’economia reale coinvolti, che abbattevano il proprio carico fiscale dimostrando acquisti mai effettuati.
«Soddisfazione» per l’esito dell’inchiesta è stata espressa da Confindustria Toscana Nord, secondo la quale «è fondamentale reprimere duramente i meccanismi criminali che si insinuano nel contesto economico locale». Parole a cui si sono aggiunte quelle del presidente della regione Enrico Rossi: «Gli arresti di oggi – ha commentato il governatore – confermano ciò che sapevamo: la Toscana fa gola alle 35 organizzazioni criminali di stampo mafioso che operano sul nostro territorio, per questo è bisogna tenere alta la guardia». «Il nostro territorio – ha detto il sindaco di Prato, Matteo Biffoni – ha dimostrato ancora una volta di avere gli anticorpi per contrastare chi agisce fuori dalle regole».
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