di Sabino Cassese
Un Parlamento bloccato su un particolare della riforma costituzionale (elezione diretta o indiretta di un Senato comunque ridotto e svuotato) ha dato al governo, dopo un iter non breve (circa un anno), ma neppure difficoltoso, con una larga maggioranza, una enorme apertura di credito per la riforma dello Stato.
Si apre un grande cantiere, con circa quindici deleghe, che richiederà almeno cinque anni per essere portato a compimento. Riguarda l’assetto centrale dello Stato, la sua distribuzione sul territorio, gli enti periferici, i processi di decisione e le semplificazioni, la prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, le conferenze dei servizi, le forze di polizia, l’ordinamento sportivo, gli enti di ricerca, le società pubbliche, i servizi pubblici locali, i concorsi pubblici, il codice dell’amministrazione digitale. Ridefinisce i confini tra pubblico e privato. Mira a trasformare un’amministrazione corporativa, poco efficace, troppo legata ai politici di passaggio, in una struttura sensibile agli impulsi della politica e alle esigenze della collettività, ma non dipendente dai politici. Lo stato degli edifici scolastici, il tempo di una licenza, le condizioni delle nostre città, il costo dei servizi, l’adempimento degli obblighi tributari, la bontà del servizio sanitario, dipenderanno, nei prossimi anni, dal successo di questa riforma.
Le chiavi di volta di questo ambizioso disegno sono le tre Commissioni autonome per le tre categorie della dirigenza unificata (Stato, Regioni ed enti locali) e il nuovo assetto della Scuola dell’amministrazione. Da queste dipende la possibilità di costruire una classe di amministratori pubblici scelti sulla base dei loro talenti, indipendenti e imparziali.
L e tre Commissioni dovranno, da un lato, immettere i vincitori del corso-concorso nell’amministrazione, dall’altro tenere sotto controllo il conferimento degli incarichi ai dirigenti, da parte dei corpi politici. È un compito enorme, diretto sia a migliorare la dirigenza amministrativa selezionando i capaci e meritevoli, sia a far rispettare dalla politica i principi cardine dell’accesso aperto, della concorrenza e del merito, oltre che della definizione preventiva dei requisiti dei dirigenti. La scelta dei componenti delle tre Commissioni sarà un banco di prova per il governo. Dovranno essere nominate persone autonome, indipendenti e «terze», non politici o sindacalisti. Lì si misurerà la lungimiranza dell’esecutivo e la sua capacità di spogliarsi della veste di parte nell’interesse del Paese.
La Scuola nazionale di amministrazione sarà la principale fornitrice dei nuovi dirigenti, il «vivaio degli alti funzionari». Anche qui si misurerà la capacità del governo di guardare lontano. C’è bisogno anche in Italia di quello che gli inglesi chiamano fast stream , un sistema accelerato che porti rapidamente al vertice degli uffici pubblici un manipolo di giovani capaci, scelti non per il loro credo politico ma per le abilità acquisite, l’esperienza, l’equilibrio, le capacità gestionali, le conoscenze linguistiche, una élite che non sia aristocrazia.
Il governo è ora chiamato ad adempiere questi compiti difficili. Ma di ciò dovrebbe anche interessarsi chi si preoccupa della democrazia italiana, temendo che degeneri in autocrazia: una burocrazia indipendente e preparata, non scelta dai membri del corpo politico tra i propri fedeli, sarà capace di condizionare il politico di turno, ricordandogli i suoi limiti, e di mettere finalmente in sintonia lo Stato con la società, che lo vede oggi come un nemico, indolente, costoso e invadente.