Ci inseriamo pure noi a gamba tesa nella querelle censoria di questi giorni; lo facciamo un po’ controvoglia, per dire una cosa semplice ma, troviamo, non banale. E cioè che l’intera faccenda è brutta, brutta davvero, bruttissima. Non ci riferiamo, nel farlo, ai toni inviperiti, al cosmopolitismo d’accatto dei social justice warriors nostrani pronti col dito sul telefonino come fosse il grilletto di una pistola, all’obbrobrio atavico della Rai lottizzata e a quello tutto sommato inedito di chi a riguardo si è finto sorpreso, tanto per indignarsi di qualcos’altro. Questa polemica è brutta nel senso più ovvio e letterale del termine: è grettavolgare e superficiale. Lo sono, procediamo in ordine cronologico, Pio e Amedeo, che su Felicissima Sera di Mediaset se ne sono usciti con un monologo senza capo né coda sul politicamente corretto. Si può e si deve poter dire tutto, in pubblico e in privato; d’accordissimo. Contano più le intenzioni delle parole; non proprio. Bene che la bontà d’animo è una gran cosa, ma ad ignorare le parole – ossia come si dice quel che si vuol dire- si rischia di finire come quest’accoppiata che, semplicemente, non fa ridere. Tutta la filippica è un concentrato di turpiloquio infantile, una comicità che più che demenziale è proprio demente: forse qualche alunno delle medie si è sentito intrattenuto, noi no, e men che meno ci siamo convertiti a questo libertinismo sguaiato in prima serata. Il messaggio, che delle parole non bisogna aver paura, è passato in secondo piano. Anzi che se parole le si combina così… Pure peggio Federico Lucia, in arte Fedez, al tradizionale concerto del Primo Maggio. Il suo parere sul DDL Zan e sulla Lega ce lo consegna urlando, con una rabbia che poi non è altro che la tracotanza di chi, soddisfatto di sé, già pregusta il putiferio, il sostegno che gli verrà prestato e quello che gli sarà negato, ché tanto finché si sta sotto la luce dei riflettori è tutto uguale. Il rapper argomenta con una carrellata di (tremende) uscite di qualche conosciuto e misconosciuto esponente del Carroccio, frattanto pareggia il conto condendo il discorso con tutto quello che di peggio gli può uscire dalla bocca.

Lo stesso copione si ripete per la sua risposta al prevedibile vespaio, che poi tanto risposta non è nel senso che, essendo evidentemente pianificata a priori, manca di quella genuinità che forse ci si aspetterebbe da una replica come si deve. Vediamo allora Lucia che per telefono strilla addosso a Bonelli e Capitani, direttore artistico del concerto lui, vicedirettrice di Rai Tre lei, che con tono mite – verrebbe da dire castigato -cercano di spiegargli che sul servizio pubblico certe cose sarebbe meglio non dirle, almeno non facendo nomi e cognomi. Niente, l’invettiva prosegue ininterrotta per undici minuti, il tenore sempre quello sufficiente della presa in giro: ci mancava solo che ai due disgraziati desse dei boomer. Pio e Amedeo da par loro non fanno granché meglio. Svelti affidano a Facebook una nota raffazzonata nella quale respingono al mittente  le accuse di omofobia e razzismo. Di nuovo vorrebbero far pensare, al più riescono ad impensierire: a leggerli sembrano scemi e viene il sospetto che lo siano o che lo vogliano apparire, ma per lo meno fanno una cosa originale e non si scusano. Tutt’altro; intervistati in seguito, dichiarano che chi ancora li critica è figlio di madre ignota. Vagli a dire qualcosa la prossima volta.

L’estetica, insomma, è quantomeno carente in entrambe i casi. Meglio, è pessima. E prima che ci si tacci di snobismo, di dar più rilievo alla forma che alla sostanza, ci teniamo a precisare che per noi l’una e l’altra sono la stessa cosa: si intersecano e si sovrappongono, si corrispondono in un unicum inscindibile. Dicevano in proposito gli antichi Greci che al bellokalòs, si accompagnava per natura il buonoagathòs: noi riteniamo sia vero, e però che sia vero pure il contrario. Così, se appunto l’estetica lascia a desiderare, l’etica quasi latita. Pio e Amedeo non sono all’altezza dei temi importanti e complessi che vorrebbero affrontare; l’impressione è che, inconsapevoli di ciò, si siano fiondati sull’argomento censura perché di gran voga presso certi ambienti, in un tentativo maldestro e affatto riuscito di darsi uno spessore politico. Fedez, invece, se l’è cavata assai bene, anche perché da mesi batte il terreno dello scontro e infatti ci è arrivato, per così dire, preparato. Un terreno comodo, fertile di consensi e approvazione che poi si traducono in facili monetizzazioni: a pensar male si farà pure peccato, ma il lancio da parte di Lucia di una linea di smalti che strizza l’occhio ai consumatori LGBT a ridosso della sua esibizione-comizio non ci pare del tutto casuale.

Sosterrà qualcuno che è sempre meglio questo di niente, che almeno di certe cose si è discusso seppur in maniera imperfetta ed interessata. Lungi da noi pretendere la perfezione; lasciateci dire, però, che l’intera polemica è superflua, fuori luogo e fuori misura. Da ambo i lati si rivendica di fatto il diritto di non dire un bel niente e per giunta di dirlo nel peggior modo possibile: e sì che è sacrosanto anche quello ma, per piacere, non fingiamo che sia sotto attacco. Il brutto ed il mediocre spadroneggiano in televisione, in radio, sui giornali, nelle case editrici, su Internet. Il livello del dibattito pubblico è ovunque e in merito a qualsiasi cosa orientato al pattume e al conformismo nella forma, atroce, e di conseguenza nei contenuti, piatti e triti. Da tempo non ci si confronta su niente (o soltanto su quello), alla riflessione ponderata e originale si preferiscono l’insulto e il grido fine a sé stesso: in questo marasma, Pio e Amedeo e Fedez hanno soltanto il dubbio merito di aver gridato più forte e più lontano degli altri.

Della censura istituzionale non vi è traccia – gli uni hanno detto esattamente quel che volevano, il suo colloquio telefonico l’altro lo ha tagliato (censurato?) ad arte – né bisogno perché, qui sta il paradosso che vorremmo evidenziare, sotto il rumore bianco della cagnara perpetua si cela un silenzio docile e castrato. Ossia, non c’è niente che valga davvero la pena di censurare: sono tramontati i tempi di Elio e le Storie Tese, che, sono passati trent’anni esatti, dallo stesso palco del Concertone snocciolavano i loschi affari di Andreotti prendendo in contropiede la Rai e i magistrati con buon anticipo su Tangentopoli. Prospettive realmente divergenti, controverse, oggi non se ne trovano: si abbaia – e non è solo una metafora – ma non si morde. È il segno di una letargia intellettuale e culturale che perdura da decenni, cui massima espressione è l’abitudine masochistica di accontentarsi (quell’ “almeno se n’è discusso” di cui poco sopra) di quanto passa il convento. Tutto in questa vicenda è un surrogato, a partire dal modo di comunicare che è una parodia grottesca di quel che sarebbe lecito e doveroso chiedere su tematiche di questo rilievo. Ancora le dichiarazioni di ortodossia sulla cause célèbre del momento spacciate per audaci prese di posizione, per arrivare infine alla tiritera a colpi di tweet al vetriolo che è la brutta copia di un dibattito serio e sano.

Surrogati sono soprattutto i personaggi in questione, che fanno da parafulmini ad una classe dirigente alla quale, in mezzo a tanti fallimenti, è riuscito in maniera impeccabile il trucco della sostituzione: per sé si riserva il compitino facile d’intrattenere con le risse in tv e sui social media, e intanto abdica a (s)favore di gente come Pio e Amedeo e Fedez, che nella vita comunque fa altro, il proprio ruolo di guida del Paese. Quelli lo ricoprono quanto possono, ovvero poco, e come possono, ovvero male; non si può biasimarli oltre un certo limite, e anzi ha ragione il rapper quando chiede dov’è la politica. Domanda retorica di un connivente, ma si coglie il senso e non si può eccepire. Praticamente stiamo cercando di guarire da un tumore usando l’omeopatia, che come pensiero è sconfortante ma comunque meglio di dover credere – e ce ne sarebbe motivo – che queste siano cure palliative per una metastasi allo stadio terminale.