di Massimo Franco
La nota accorata che Silvio Berlusconi ha trasmesso ieri a Forza Italia ha l’aria di un presagio di sconfitta. Limitarsi a dire «basta ai protagonismi, alle risse e alle polemiche» senza analizzarne l’origine è un po’ poco, per invertire una tendenza che si sta accentuando. È difficile attribuire alla conflittualità interna la frantumazione progressiva del centrodestra e la sua lenta diaspora. Semmai, quelli sono sintomi di una crisi di identità e di leadership della quale Berlusconi è una delle principali cause, sebbene non l’unica. L’idea che si possa rimediare ad una deriva così grave chiedendo ubbidienza alle decisioni della maggioranza del partito suona inadeguata.
Chissà fino a che punto l’ex premier se ne rende conto. L’impressione è che a spingerlo all’appello-ultimatum di ieri sia stato il «cerchio magico» in grado da alcuni mesi di condizionarne le mosse; e contestato da chi lo vede come un diaframma che isola Berlusconi dal resto della nomenklatura. La sua uscita si spiega soprattutto con i timori per le elezioni regionali di fine maggio; e con l’esigenza di additare tutto quello che non va fin d’ora, per trovare una giustificazione preventiva in caso di sconfitta. È indubbio che gli avversari sfruttano lo scontro dentro FI e lo enfatizzano strumentalmente: è quanto ogni movimento politico fa quando l’altro è in difficoltà.
Ma l’idea che d’incanto finiscano le liti e si recuperi l’unità sa di esorcismo. La rottura del centrodestra non è né nuova né casuale. È cominciata almeno tre anni fa, e i tentativi di ricomporla sono stati inutili. Anche adesso che in nome della realpolitik elettorale il berlusconismo si risalda con la Lega di Matteo Salvini, lo fa da posizioni subalterne; senza riuscire a inglobare il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano, che pure è in tensione con l’alleato Matteo Renzi; e senza scongiurare conati di scissione e polemiche dentro FI.
Lo dimostra il tentativo di zittire Sandro Bondi, appena uscito dal gruppo parlamentare dopo essere stato per anni un appassionato cantore di Berlusconi: tentativo risoltosi con una immediata e puntuta reazione di Bondi all’ex Cavaliere; una cosa impensabile in passato. «La senatrice Manuela Repetti ed io», replica l’ex coordinatore di FI, «abbiamo subito in questi giorni degli attacchi personali, quasi un linciaggio, che hanno confermato la miseria morale e politica di Forza Italia e la giustezza della nostra decisione». Insomma, se l’obiettivo dell’appello berlusconiano era di arginare un’immagine di disfacimento del partito, ha ottenuto il contrario.
Dalla Liguria alla Puglia, il centrodestra appare in affanno. E, al di là della guerriglia dentro FI, il dramma per Berlusconi è l’esodo degli elettori. I sondaggi lo danno tra il 10 e il 15 per cento: il quarto partito dopo Pd, M5S e Lega. E la defezione di personaggi-simbolo come Bondi lascia indovinare un’esasperazione che va oltre la strategia politica e il potere. Evoca rapporti umani deteriorati, e l’incapacità del vecchio leader di imporsi e ricreare l’amalgama del passato. Sono avvisaglie di un declino che dopo le Regionali potrebbe assumere contorni dr