Un sole crudele acceca lo straniero

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di Paolo Di Stefano

È una lunga estate, quella dello straniero di Albert Camus. Non c’è caldo più soffocante di quello che incombe sulla testa e sui pensieri di Meursault, il modesto impiegato che vive ad Algeri e che un giorno, dopo un litigio, uccide un arabo senza alcun ragionevole motivo. Anzi l’unica risposta che è capace di dare ai giurati increduli, pur rendendosi conto di essere ridicolo, è: «a causa del sole». Ma a pensarci bene, forse quella battuta assurda andava presa sul serio: un bravo avvocato avrebbe anche potuto aggrapparsi alla crudeltà del sole come attenuante per l’eliopatico Meursault.

Uscito nel 1942, «Lo straniero» è il romanzo (il classico) della vita indifferente a se stessa e al mondo, il cui protagonista non ha ambizioni e pensa che le cose della vita, in generale, non abbiano alcuna importanza. Sin dalle prime pagine, da quando cioè Meursault viene a sapere della morte di sua madre, il lettore sente molto caldo; fa un caldo bestiale quando Meursault sale sull’autobus delle due per raggiungere l’ospizio di Marengo in cui viveva sua madre.

Il caldo cresce, diventa un’ossessione intollerabile: «Il cielo era pieno di sole. Cominciava a pesare sulla terra e il calore aumentava rapidamente. Avevo caldo sotto i miei vestiti scuri». Il sole eccessivo fa sobbalzare il paesaggio, rendendolo «inumano e deprimente». Non c’è quasi pagina in cui il sole desista, e durante il corteo funebre al crepitio dell’erba si aggiunge il ronzare fastidioso degli insetti: «Il sudore mi colava sulle guance». Anche l’impiegato delle pompe funebri non fa che asciugarsi il cranio. La campagna trabocca di sole, il cielo è accecante e l’asfalto molle sotto i piedi si apre come una carne luccicante. La vista e le idee di Meursault si confondono, con quella stanchezza e quel sole, il sangue gli batte nelle tempie.

Per alcune pagine, dopo l’incontro in piscina con l’ex collega Maria Cardona e dopo la prima notte d’amore, la temperatura sembra concedere una breve tregua: potrebbe anche piovere, ma è un falso annuncio. Si ricomincia a sudare, in ufficio, sul tram, sul lungomare, in casa. Il cuore batte nelle tempie sempre più, sempre più. Un crescendo a cui l’avvocato purtroppo non avrebbe pensato. Una mattina la luce del giorno, in strada, colpisce Meursault come uno schiaffo. È domenica, la giornata chiave, piantata nel mezzo del romanzo: una gita sulla spiaggia con l’amico Raimondo e con Maria, l’acqua è a tratti persino fresca, per un attimo il sole non si sente, finché nella passeggiata dopopranzo riesplode di colpo come un presentimento, facendolo respirare a fatica: «Il sole cadeva quasi a piombo sulla sabbia e lo sfolgorio sul mare era accecante». Piombo.

Camminando, Meursault è intontito, non riesce a star dietro ai discorsi dei due amici che gli sono a fianco. Quando appaiono sul fondo due arabi in tuta che procedono verso di loro, la sabbia surriscaldata gli appare rossa, un’allucinazione. Il primo scontro a sangue non lo riguarda, ma è nel secondo che il sole si fa tremendo, andando a «frantumarsi sulla sabbia e sul mare»: è allora che Meursault perde il controllo, dopo un elio-climax crescente, esplosivo, assassino, mentre l’arabo lo fissa, occhi negli occhi.

Per un attimo pensa di fare dietrofront, ma è la luce che lo inchioda: «Dietro a me si addossava tutta una spiaggia vibrante di sole (…). Ora il sole mi bruciava anche le guance e ho sentito delle gocce di sudore accumularsi nelle sopracciglia. Era lo stesso sole di quel giorno che avevo sotterrato la mamma e, come allora, era la fronte che mi faceva più soffrire: tutte le vene mi battevano insieme sotto la pelle. A causa di quel bruciore che non potevo più sopportare ho fatto un movimento in avanti».

Un passo e un passo ancora. L’arabo estrae il coltello: la luce balena sull’acciaio e la sua lunga lama scintillante va a colpire la fronte di Meursault. Il sudore cade dalle sopracciglia, in testa risuona il bagliore ostinato del sole, il coltello del nemico diventa una «sciabola sfolgorante»: «Quella spada ardente mi corrodeva le ciglia e frugava nei miei occhi doloranti. È allora che tutto ha vacillato. Dal mare è rimontato un soffio denso e bruciante. Mi è parso che il cielo si aprisse in tutta la sua larghezza per lasciar piovere fuoco». Il grilletto si muove e Meursault spara i quattro colpi della sua sventura.

Così, finalmente, «mi sono scrollato via il sudore ed il sole». Si sa come andrà a finire: il processo, la condanna a morte. Solo i ventilatori del tribunale gli daranno pace, solo in carcere finalmente troverà ristoro e refrigerio, in extremis: «Odori di notte, di terra e di sale rinfrescavano le mie tempie. La pace meravigliosa di quell’estate assopita entrava in me come una marea». Ma l’avvocato, Dio mio, una perizia che avesse a che fare con quel caldo implacabile, bestiale…