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Il pm e la morte di David Rossi «Nel pc 35 ricerche sui suicidi». Il magistrato di turno quella notte. «Temeva di perdere il lavoro o di essere arrestato»
di Claudio Bozza
La morte di David Rossi «da subito apparve come suicidio». Perché per l’allora capo della comunicazione del Monte dei Paschi «il rischio di perdere il lavoro era molto significativo», a tal punto che «alla fine di febbraio lui si chiude e parla di terrore di essere arrestato, essendo stato male inquadrato» dai pm nell’ambito dell’inchiesta sul crollo della più antica banca del mondo.
Le parole di Nicola Marini, pm che era di turno a Siena la tragica sera del 6 marzo 2013, non sembrano lasciare dubbi. Il magistrato, rispondendo alla raffica di domande davanti alla Commissione parlamentare istituita per fare luce sulla morte del manager Mps, ribatte punto per punto sui lati oscuri delle indagini aperte e richiuse in questi 9 anni.
E per confutare le ipotesi di un possibile omicidio, dopo che le dichiarazioni di più testimoni davanti alla Commissione hanno innescato dubbi sull’operato della pubblica accusa, Marini sottolinea che «ben due sentenze» di due giudici distinti hanno affermato che si tratta di un suicidio.
Ma il sostituto procuratore senese rivela sopratutto un particolare chiave: «Analizzando gli indirizzi dei siti web sul computer di Rossi» emergono «35 file relativi alla parola “suicidi”». Facendo fede ai risultati delle indagini condotte dalla Polposta, Marini aggiunge: «Le chiavi di ricerca erano parole come “soldi”, “crisi”, “suicidio” — aggiunge il pm —. Uno degli ultimi dati che stava leggendo Rossi è del 6 marzo 2013 alle ore 16.39 e riguardava un aspetto molto importante: la circostanza che 8 suicidi al mese avvengono per ragioni economiche».
Il magistrato ricorda poi che «il medico legale confermò la natura autosoppressiva della morte». E poi: «Se ci fosse stato un elemento probatorio con ipotesi diverse dal suicidio avremmo indagato» anche in altre direzioni, precisa ancora Marini ricordando che «l’autopsia sul corpo di Rossi non fu disposta perché richiesta dalla famiglia», ma su sua iniziativa.
Secondo il pm di turno, quella tragica sera, nell’ufficio del manager al terzo piano di Rocca Salimbeni, entrarono per un sopralluogo anche i pm Aldo Natalini e Antonino Nastasi, che coordinavano le indagini sul crollo di Mps. In questo quadro Marini offre la sua ricostruzione su un altro dei punti più discussi del giallo: i bigliettini di addio di Rossi. «Furono presi dal luogotenente Cardiello messi sul tavolo, dispiegati e ne leggemmo il contenuto».
Nel dettaglio: «Rappresentavano le ultime volontà — ricorda Marini —, nella stanza la situazione era lineare, non rimaneva che andare a vedere il cadavere per chiudere il cerchio». Il colonnello dei carabinieri Pasquale Aglieco, invece, aveva attribuito questo passaggio al pm Nastasi affermando che quest’ultimo aveva anche «svuotato il cestino sul tavolo». Parole che innescarono una bufera, perché in tal modo sarebbe stata inquinata la scena del crimine. L’ufficiale dell’Arma aggiunse che lo stesso Nastasi aveva addirittura risposto a una telefonata dell’onorevole Daniela Santanchè arrivata sul cellulare di Rossi dopo la sua morte. «Nessuno rispose e smise di squillare», è la replica di Marini. E infine: «Quella sera Aglieco non era nell’ufficio di Rossi» durante il sopralluogo; per questo il pm si dice «meravigliato della sua audizione in commissione: non capisco perché».