Nonostante il governo ce l’abbia messa tutta pur di svegliare l’indole – si fa per dire – ribelle del mondo della cultura italiana, le lamentele di quest’ultimo, oltre che fuori tempo, venate di un’ipocrisia tale da renderle poco credibili. Dopo mesi in cui un settore già abitualmente bistrattato è stato messo in ginocchio, ulteriormente umiliato e privato della sua dignità – le discoteche additate come causa dei mali della nazione, così come i suoi avventori, i famigerati giovani – arriva la levata di scudi del settore delle arti e della cultura, presumo dunque dei miei ‘colleghi’, in seguito all’ultimo, tirannico, Dpcm.
Levata di scudi degli artisti che risulta, bontà loro, naif, considerato come per gli scorsi sette mesi l’intero settore si sia genuflesso alle imposizioni di un governo allo sbaraglio. Sarà, questa volta, naif chi scrive, ma dall’arte ci si aspetta un ruolo controculturale, di opposizione allo status quo ed alle imposizioni soffocanti della cultura dominante. L’arte ha spesso, se non sempre, trovato la sua preziosa linfa vitale nell’illegalità e nell’opposizione alla cultura filo-istituzionale: dai jazz club della Berlino nazista agli scantinati dei beatniks americani ed italiani, dai soundsystem nelle strade di Brixton in fiamme alle lotte per i diritti operai ed omosessuali nei Festival del Re Nudo organizzati in una Milano al culmine degli Anni di Piombo; e si potrebbe continuare con decine di altri esempi.
Per la prima volta dagli anni ’60 in tutta Europa si è assistito ad una discrepanza di valori generazionali tale da portare i figli ad essere in netto contrasto con i loro genitori (si vedano tematiche come Fridays for Future o Black Lives Matter), eppure di fronte ad un capo di stato che – per dirla con un’espressione di 50 anni fa – agisce da ‘matusa’ ritenendo ‘non necessarie’ le arti e l’intrattenimento non è seguita nessuna rivolta o presa di posizione intransigente. Alienati dall’illusione di un benessere facilmente accessibile e fintamente democratico (l’intrattenimento di Netflix, la partita dalla comodità del divano, la musica liquida, la cena consegnata a domicilio) non solo gli artisti ma i fruitori dell’arte tutti sono stati incapaci di imporre la propria voce, a patto che ne abbiano ancora una.
Senza voler passare per boomer o reazionario – cose che non sono né per età anagrafica né per semplicismo nel glorificare un passato mai vissuto – sareste in grado di immaginare come si sarebbero comportate, in passato, le generazioni cresciute tra beat, rock, prog, reggae e punk se un governo avesse osato chiudere cinema, teatri e sale da concerto? D’altro canto, però, l’aggregazione giovanile non passa più per i luoghi di cultura, come non passa più per le piazze o le curve. L’artista, sempre più autoreferenziale, fallisce oggi nell’essere una voce controculturale e diventa accessorio delle istituzioni – si veda l’invocazione del premier Conte nei confronti dei Ferragnez o la marchetta di Ghali per il sindaco di Milano Sala. Se, tra gli altri, anche i baluardi della vecchia scuola, gli autoproclamatisi ribelli anticapitalisti del gruppo torinese Statuto invitano al solerte uso della mascherina e al distanziamento, omologandosi ai diktat istituzionali, c’è da domandarsi di quanta credibilità possa ancora godere la maggior parte del settore dell’arte e della cultura nel Belpaese.
Dunque, dopo mesi in cui l’arte è stata nella maggior parte dei casi condensata a sbrodolamenti di ego attraverso dirette social, concerti per spettatori seduti, e spot filo-governativi per la promozione dell’uso della mascherina, ogni forma di ribellione – ancora una volta né artistica né fisica – risulta svuotata di ogni credibilità. L’ennesimo vezzo e pianto di un settore incapace di farsi valere quando contava, così da consentire a Palazzo Chigi di spadroneggiare con arroganza, ed ai media di demonizzare chi con l’intrattenimento tira, sciocchi loro, a campare. Come si aspetta, ora, un settore – come d’altra parte un popolo – di pavidi ed inerti di essere ascoltato? In una società in cui l’artista dimostra di avere qualcosa da perdere, vivendo ed agendo inscatolato all’interno di paradigmi che si confanno all’uomo qualunque, dunque meramente assoggettato non solo alla vita sociale ma alle sue imposizioni capitalistiche, che senso ha definire quest’individuo ‘artista’?
Certo, diranno molti esponenti del settore, che il loro è stato un atteggiamento educato, rispettoso, altruista per il bene del prossimo, ma che a chi scrive risulta un atteggiamento più da impiegato delle arti che da artista, da – senza offesa – orchestrale da balera più che da rock o trap star; da bigliettaio di un teatro più che da curatore di un calendario; e così dicendo. Le lamentele degli addetti ai lavori sono legittime, meno lo sono quelle di chi si dice artista ma non si comporta da tale. Quando la nobile arte viene intesa come una mera, conformata e conformista forma di guadagno, provocatoriamente, verrebbe da spezzare una lancia in favore del ministro britannico Rishi Sunak che poche settimane fa invitava gli artisti a cercare, per il futuro prossimo, un lavoro secondario.
Quando per partito (fantasma di ciò che fu) preso viene a meno l’onestà intellettuale di denunciare le imposizioni dittatoriali di un governo non eletto, il mondo della cultura ha fallito. Non stupisce che un governo che ha tra i suoi uomini di punta un ex concorrente del Gande Fratello calpesti il mondo delle arti, eppure, sempre per partito preso, questo mondo ha fallito di protestare, a differenza del rovesciamento di bile e misoginia che investì la ‘ballerina’ Carfagna, colpevole di essersi candidata con il centro-destra. Già si immaginano i girotondi arcobaleno che avrebbero riempito le piazze, questi si, alla faccia di distanziamento e mascherine, se ad imporre tali misure dittatoriali fosse stata una coalizione di centro-destra, magari con Salvini al comando.
Non è dunque per disamore delle arti o dei miei ‘colleghi’ che cinicamente condanno l’inutilità delle loro, tardive, proteste, ma per loro amore, ed amore della loro dignità, a lungo persa, forse già prima dell’emergenza Covid. Quanti artisti hanno sempre ambito nonché celebrato, con ironia più o meno velata, la cultura sovietica. Dunque non corrucciatevi ‘colleghi’, piuttosto compiacetevi del fatto che finalmente avrete l’opportunità di condurre quel tanto agognato stile di vita; a casa alle 18, a seguire l’orchestra di stato sui canali d’informazione di stato, con la differenza che ora potrete farlo anche on demand ed in streaming. Si spera, ma non si garantisce, con un sussidio anch’esso di stato.