Tozzi: la versione di Emma

Il libro A cento anni dalla morte dello scrittore senese la riedizione de «Gli egoisti» curata da Tania Bergamelli Un lavoro critico che spiega quanto nel romanzo, pubblicato postumo, sia intervenuta la moglie dell’autore

di Roberto Barzanti

Il romanzo Gli egoisti era rimasto incompiuto, ma Federigo Tozzi — a quanto si dice — ne raccomandò comunque la pubblicazione. L’amico Giuseppe Antonio Borgese riuscì a farlo uscire postumo presso Mondadori, nel 1923. A rivedere il dattiloscritto e prepararlo per la stampa fu Emma Palagi, la premurosa vedova dello scrittore senese. Ora l’edizione critica curata da Tania Bergamelli — secondo volume dei diciassette in programma dell’opera omnia (Gli egoisti , pp. 206, € 28, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2020) — consente di capire il tormentato lavorìo che sta a monte di pagine non definitivamente sistemate da chi le aveva cominciate a elaborare fin dal 1917 e sottoposte agli inizi del 1920 ad un’incisiva, ma insoddisfacente, revisione.

La morte di Tozzi (21 marzo 1920) avrebbe impedito ulteriori ritocchi. Per celebrarne il centenario è stato predisposto dal Comune di Siena e dalle due Università cittadine un fitto calendario di incontri e di rappresentazioni che le misure di contenimento della pandemia hanno bloccato: il ricco itinerario è spostato per intero al prossimo anno. Intanto però è decollata con la raccolta di novelle Giovani l’edizione nazionale, che offre già approfondimenti essenziali per entrare in una disordinata officina e sciogliere almeno alcuni dei molti interrogativi che da sempre hanno accompagnato titoli di complessa tessitura sia strutturale che linguistica. Si potrebbe enunciare un principio: quanto più farraginoso è stato l’armeggiare attorno ad un testo, tanto più l’analisi dei materiali che documentano fasi creative e intenzioni generali è fruttuosa. Costituisce una sorta di avvincente romanzo del romanzo. Rispetto all’edizione Vallecchi curata dal figlio Glauco Tozzi nel 1961, il testo di cui ora si dispone presenta differenze nella punteggiatura e nella distribuzione dei capoversi e garantisce la fedele riproduzione del dattiloscritto originale.

L’analisi delle carte ha confermato la provvisorietà della redazione finale. Anche per questo, è molto utile l’apparato a piè di pagina, che descrive il percorso dalla prima versione del manoscritto all’ultima aggiunta d’autore, e vi hanno spazio pure i lunghi brani eliminati da Tozzi stesso durante la revisione. Ma qual è stato il contributo della moglie? «Il progetto della donna — precisa Bergamelli — è sempre stato orientato a corroborare l’immagine di Tozzi come marito devoto e uomo di fede, riavvicinatosi infine alla religione poco avanti la morte. Gli egoisti furono accolti dalla Palagi come la manifestazione del rinnovamento spirituale estremo di Tozzi ed ella ebbe un ruolo di primordine ancor prima d’indossare le vesti di curatrice: l’esame di alcuni interventi di mano di Emma sugli originali, effettuati sia dopo il decesso dell’autore che in precedenza, permette di acquisire un’aggiornata conoscenza delle modalità della collaborazione tra marito e moglie».

Insomma si è tentati di affermare che quasi si tratta di un’opera a due mani e che è giusto attribuire a Emma, del resto incaricata costantemente della dattiloscrittura di pagine buttate giù con rapido getto, una libertà di iniziativa non circoscritta a pur importanti elementi sintattici. Per colei che s’era riconciliata col marito, dopo una brusca separazione, all’altezza del 1916, Gli egoisti era da considerare come la certificazione di un consolante rientro dello scapigliato e anarcoide consorte nell’ambito cattolico: la vittoriosa riconquista di una fede disperata, biblica e punitiva, ma sicura e ortodossa. L’assetto ideologico del romanzo non è privo di approssimazioni e di una pervicace ambiguità. «Specialmente nell’ultimo capitolo — invita a notare l’attentissima curatrice — Tozzi intervenne nel 1920, riformulando quanto aveva scritto due anni prima».

A conclusione dell’amaro peregrinare il protagonista, il musicista Dario Gavinai — eteronimo dello stesso Tozzi — condivide l’atteggiamento da crociata dapprima attribuito al personaggio di Ugo Carraresi, caricatura modellata sul sodale forcaiolo sanfedista Domenico Giuliotti. Così le feroci recriminazioni contro la corruzione di una Roma indegna della sua gloria e il netto rifiuto della modernità, nonché dalle «angustie d’un’impotenza egoista e immorale» insita negli artisti, diventano condanne assolute. Il montaggio cinematografico del resoconto dall’esile trama ha un appagante happy end , anomalo in Tozzi. Che, nel ripercorrere con allusiva ma pertinente inquietudine autobiografica le vicende del sessennio trascorso nella capitale — contrassegnato dai travolgenti amori per Olimpia Manfredonia e per la bulgara Anna Rakowska, dai febbrili rapporti con intellettuali di alto bordo e con giornalisti tipo Orio Vergani (nominato Ubaldo Papi) dediti a futili riti mondani — prende le distanze con irritato moralismo da un mondo borghese che avverte inautentico e nemico. Nel lieto abbraccio finale, Albertina e Dario «guardandosi negli occhi, capirono che si amavano da vero per la prima volta»: è un voluto rovesciamento dell’allegorizzante titolazione del capolavoro d’esordio Con gli occhi chiusi . Una tale sintonia vitalistica escluderà nuovi egoismi?. È probabile che Tozzi avesse in mente un cut diverso. L’ipotesi è svolta con acutezza da Marco Marchi nell’introduzione a Gli egoisti curata per Le Lettere (Firenze 2020). Dario potrà acquisire una vanamente desiderata «coscienza» in grado di controllare i moti misteriosi dell’«anima»? O l’egoismo è ineliminabile e addirittura esaltato in quanti son dediti ad un’affermazione estetico-letteraria lontana dalla «vita vera»?

 

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