Lo spettacolo dal vivo è più morto che vivo: secondo le stime di Agis – che ieri ha presentato al Mibact le sue proposte per la ripartenza – il solo teatro di prosa (chiuso) perde almeno 20 milioni di euro a settimana; ormai siamo alla soglia dei 200 milioni bruciati, senza contare la lirica, la danza, il circo, il cinema e la musica dal vivo. Non si salva nessuno, e il comparto sarà l’ultimo a riaprire – si spera a fine anno – per ovvie ragioni di sicurezza e salute di artisti, maestranze e pubblico. Oltre a un fondo collettivo di (appena) 130 milioni di euro, il ministro Franceschini ha promesso altri 20 milioni extra-Fus; 13 milioni dalla copia privata per autori, interpreti ed esecutori con redditi inferiori a 20 mila euro; 5 milioni per lo spettacolo viaggiante. Noi, intanto, abbiamo chiesto un parere sulla crisi e qualche idea per la ripartenza ai professionisti e maestri dell’arte.Gigi Proietti

Il sistema va disegnato da capo: facciamo sapere che esistiamo

Il teatro è in re ipsa: in video è un surrogato. Forse la messa in tv è valida, ma il teatro no. Anziché continuare a fare spettacoli in streaming, servirebbe una enorme campagna promozionale, con slogan, spezzoni, spot… Che si sappia almeno che il teatro esiste. Poi bisognerà mettere mano all’intero sistema e disegnare per la prima volta – non ridisegnare, perché non c’è nulla – una mappa dello spettacolo dal vivo con tutti i suoi “attori”, dalle istituzioni agli artisti. Al teatro serve più budget, almeno in linea con gli altri Paesi europei, e che venga considerato un vero lavoro, non un passatempo. Ma adesso ancora adda passà ’a nuttata, se non altro per capire: mi pare che nessuno abbia capito come e quando si riaprirà. Facciamo pure mille appelli al giorno, ma servono a poco: anni fa era tutto un dibbbattito, e non siamo neanche riusciti a diventare una categoria unita, non c’è una politica precisa, nemmeno dal punto di vista fiscale… Che fare, dunque? Magari andremo al teatro Drive-in.

Anna Bonaiuto

Senza corpi vivi, il teatro è morto. Ma continuiamo a progettare

Oggi il sentimento di tutti è lo spavento, la paura della povertà e di non vedere la fine. Per noi dello spettacolo la fine è davvero lontana. Si dice che “il vero scandalo” sia il corpo di un attore sul palco: questa che è la sua bellezza ora diventa la sua condanna. Non maschere ma mascherine, guanti, distanze? Bisogna rassegnarsi a una morte apparente e sperare in una resurrezione vera. Pensare a modalità più semplici? Uno-due-tre attori, pochi tecnici e poco pubblico? Oppure spettacoli in streaming e tv? Ma questo non rischia di diventare, senza il corpo vivo, la certificazione del teatro morto? Intanto i teatranti devono vivere; la loro situazione ora è disperata: licenziamenti, incertezza degli aiuti, regole nebulose. C’è bisogno di sussidi trasparenti e mirati. Un attore deve continuare a progettare insieme per non sprecare il lavoro fatto e il talento: non può rinunciare perché abbandonato dallo Stato. Una società non può definirsi tale quando la cultura viene considerata, in fondo, inutile.

Massimo Popolizio

Dobbiamo essere trattati da lavoratori e non lasciati soli

Rivendico il diritto di fidarmi di ciò che dicono gli esperti e non urlo “voglio lavorare per forza” quando non ci sono i presupposti; ma le variabili sono due: o riapriamo o non riapriamo. Detto questo: siamo dei lavoratori socialmente utili e ci devono mettere nelle condizioni di portare in scena i nostri spettacoli; mentre ho la sensazione che tutte le soluzioni ipotizzate sono atte solo a mantenere in vita la struttura, il contenitore e non i contenuti, perché temo che queste misure igieniche permettono di portare su un palco appena dei monologhi o testi con due attori. Per chiarezza: dietro al teatro pubblico lavorano funzionari, amministrativi, direttori, impiegati, uffici stampa assunti, e ancora; tutti questi hanno garantito il reddito o ammortizzatori e paracaduti sociali; quel reddito nasce dagli artisti che vanno in scena, eppure per gli artisti non c’è alcuna seria copertura. Bisogna stare attenti, così si crea una frattura sociale tra garantiti e non. E parlo da lavoratore non da artista.

Andrea Occhipinti

Si rafforzerà lo streaming, ma la sala sarà valorizzata

Futuro? Un’accelerazione sul digitale. Dallo smart working – che ha indubbi pregi, anche se si finisce col lavorare di più – alla fruizione dei contenuti audiovisivi da casa, già viviamo un’apoteosi. C’è chi dice Netflix sia stata salvata dal Coronavirus, di certo, nel primo trimestre ha registrato 16 milioni di nuovi utenti. Ma la mano santa è anche per le generaliste: hanno ritrovato ascolti pazzeschi. Sono tendenze, soprattutto per la pay-tv e le piattaforme, che verranno consolidate. Viceversa, credo si ridurrà il numero delle sale, alcune non riapriranno. Si rafforzerà, però, la valorizzazione del film in sala: la cassa di risonanza è indubbia, ma non è per tutti, alcuni titoli finiranno direttamente sulla piattaforma. Sto in Spagna da un mese, e mi fa impressione non ci si possa più toccare, abbracciare, baciare, ancor più per noi latini. Non vorrei che anche il cinema del futuro prenda le distanze, con film dallo stile rarefatto, pareti bianche, tavoli ampi e famiglie lontane.

Anna Foglietta

Torneremo sul set (non ora) e ripartiremo dalle storie

Oggi lo streaming è un’opportunità, un segnale di vita, ma in futuro potrebbe rivelarsi un boomerang. Credo sia il tempo della condivisione e della comunicazione: noi del mondo della cultura e dello spettacolo ci siamo e, tra ristrettezze e permessi, vogliamo privilegiare le storie da raccontare. Ritroveremo il palcoscenico, il set con tutte le precauzioni del caso, ma non possiamo pretendere che tutto ritorni come prima: ogni crisi, e questa è una delle più grandi, comporta un cambiamento, una trasformazione. Non confido negli ibridi, quali il teatro in streaming, ma nell’evoluzione dei linguaggi. Come sempre, bisognerà ripartire dalle storie: il futuro del cinema me lo immagino domestico, oggi un film come Perfetti sconosciuti sarebbe perfetto. Non fasciamoci la testa, rivendicare il proprio diritto all’esistenza è sacrosanto, dovrebbero farlo come noi tutte le categorie, però non è questo il momento di pretendere: il rischio è troppo alto, la responsabilità troppo grande, dobbiamo aspettare.

Stefano Fresi

“Presidente, manco ’na parola”

Il monologo di Stefano Fresi su Instagram, prima che ieri Conte parlasse dello spettacolo e dell’arte.

Sor presidente mio, che ve succede? Ve siete ariscordato la menzione?
Eppuro stamo qui,
nella nazione.
Nemanco una parola? Nun ce se crede.
Stamo rinchiusi ne l’abitazione, a fa’ scenette a chi ce le richiede, a da’
conforto, a faje batte er piede, cantanno, co’ ‘n po’ de recitazione.
Perciò ‘na cosa qua bisogna dilla: ma pensa un po’ si in questa quarantena l’arte nun poi vedella né sentilla, ma sai sì quanta noia, quanta pena?
Noi semo artisti, gente che nun strilla, c’abbasta che ce nominino appena.

Luciano Cannito

Nella task force di scienziati ci sia pure chi fa arte dal vivo

Il mondo dello spettacolo è un mondo di dedizione, passione, disciplina. In particolare i danzatori hanno bisogno di allenamento continuo, quanto e forse più degli atleti olimpici. Ogni giorno di mancato training potrebbe danneggiare la carriera futura di tanti artisti del mondo della danza. Direi che in generale tra tutte le categorie professionali del pianeta, quella degli artisti è forse la carriera dove la gavetta, le cadute con la faccia nel fango, le privazioni, le lotte, sono state più frequenti, fino a diventare parte del Dna. Sarebbe auspicabile avere pertanto un tavolo di lavoro congiunto, dove accanto alle task force di scienziati e gente di laboratorio, ci fosse anche una rappresentanza di gente di teatro, cinema, musica, danza. Gente che sa di cosa si parla e che potrebbe dare un contributo costruttivo e competente nello scrivere insieme delle regole precise, ma di buon senso, per consentire un graduale ritorno alla dignità del lavoro.

Mimmo D’Alessandro

Abbiamo bisogno di una data per dare risposte sicure ai fan

Noi organizzatori di spettacoli dal vivo saremo probabilmente tra gli ultimi a ripartire: l’idea generale è che dovremo aspettare un vaccino. Si è parlato di possibili soluzioni per riprendere, ma rifiuto l’idea di un concerto in cui il pubblico assiste a due metri l’uno dall’altro: se togliamo la funzione di aggregazione un live perde gran parte del suo fascino. Siamo grati al Governo per essere stato il primo tra i paesi europei ad aver dato la possibilità di poter rimborsare i biglietti dei concerti annullati con dei voucher: ci consente di mantenere quel filo di liquidità con cui fornire respiro vitale; però sarebbe fondamentale che venisse stabilito un orizzonte chiaro: Francia, Belgio, Germania, Irlanda e molti altri hanno già dichiarato che fino a settembre niente live. Questo ha dato modo ai Festival di quei paesi di poter prendere decisioni definitive; un’altra cosa che ci aspettiamo è l’erogazione di misure di sostegno economico a tutte le categorie coinvolte nell’intrattenimento dal vivo.

Fabrizio Moro

Concerti online a pagamento per tutelare tutti i professionisti

Oggi vedrete il Primo Maggio in tv: un piccolo miracolo. Ma osservare i colleghi in fila all’Auditorium e i tecnici che sanificavano ogni cosa mi ha convinto che la strada è lunga. Sul palco mi è venuto istintivo rompere la barriera con la band. E il teatro vuoto è un colpo al cuore. Il rock è contatto, partecipazione. Impossibile pensare a concerti affollati prima di un vaccino. Servono soluzioni alternative. Non credo nei Drive-in con la gente chiusa in auto. Un’idea? Eventi online a pagamento, per tutelare i lavoratori più a rischio. Il mio tour è stato rimandato di mesi: sono a disposizione con l’agenzia per valutare una redistribuzione degli anticipi, perché i tecnici non siano ridotti alla fame. Dobbiamo rimboccarci le maniche: con Ermal Meta scriveremo una canzone su questo tempo strano. E ho chiesto ai fan di mandarmi clip per il video di Il senso di ogni cosa: mi aiutino a capire cosa conti per tutti noi, ora.

Alex Britti

Mi manca il live, ma il pensiero va a chi sul palco mi sta intorno

Qui è necessario suonare le corde del pragmatismo: fino a quando non ci sarà un vaccino o una cura efficace, trovo impossibile ripartire con spettacoli dal vivo. E mi manca. Mi manca tantissimo suonare sul palco, sentire quell’energia condivisa con il pubblico, ritrovare le liturgie della band e di tutto ciò che circonda una spettacolo dal vivo. Ed ecco uno dei punti: “Tutto ciò che circonda”, intendo chi monta e smonta, la sicurezza, i facchini, la segreteria, chi si occupa delle luci, del suono, dell’organizzazione; è tutto un mondo attorno che difficilmente ritroverà un’occupazione e li sento, ed è un dolore. A questo si associa la preoccupazione per i musicisti, i ragazzi che vorrebbero dire la loro in un contesto già complicato, con spazi stretti e pochi sbocchi professionali. Così sono d’accordo nell’aiutare tutte le professioni ora in crisi, ma non dimentichiamoci dell’arte: senza “arte” questa quarantena sarebbe stata molto più dura.

Il piano dell’Agis

Calendario certo, fondi pubblici e igiene. Ma niente mascherine

1) Calendario di ripresa delle attività di spettacolo dal vivo e delle proiezioni cinematografiche, valutato e “aggiustato” ogni mese.
2) Misure di sicurezza a livello nazionale, senza oneri aggiuntivi né aggravi delle procedure per gli operatori. Agis propone l’installazione di dispenser con disinfettante, le comunicazioni delle corrette modalità di comportamento, l’igienizzazione periodica, una distribuzione a “scacchiera” del pubblico come già sui mezzi pubblici.
3) Cronoprogramma per la ripresa delle attività produttive per il progressivo reimpiego di maestranze e artisti, mantenendo la possibilità di fruire degli ammortizzatori sociali.
4) Misure di sicurezza: distanziamento sociale degli artisti, che potranno non utilizzare mascherine. Nel caso di impossibilità di distanziamento e mascherine, si propone un piano di test e monitoraggi medici periodici.
5) Interventi pubblici di sostegno, come fondi integrativi, almeno fino alla fine del 2021.